Un’analisi linguistica e di pensiero è necessaria, a proposito del NYT (New York Times) e della sua difesa di Planned Parenthood e del commercio di feti vittime dell’aborto.
Scorrendo tra le notizie riguardanti la macabra vendita di “tessuto fetale” da parte del colosso americano di “cliniche per la salute riproduttiva” Planned Parenthood, mi sono imbattuta in un articolo del New York Times pubblicato il 5 agosto scorso intitolato “How to Really Defend Planned Parenthood” (Come difendere veramente Planned Parenthood), scritto da Katha Pollitt, colonnista de “The Nation” e autrice del recente “Pro: Reclaiming Abortion Rights“.
Nello straordinario silenzio dei media italiani sulla questione e nel mio bisogno reale di comprendere il pensiero ed il punto di vista di chi, dopo tutto ciò che sta venendo fuori sulla più grande catena di cliniche abortiste degli Stati Uniti, ne difende l’operato, ho voluto approfondire la mia lettura del testo nella ricerca di concetti fermi e linguaggi comuni accettati, per avere anche una chiave filosofica di analisi di una società, di un tempo e della sua cultura tramite uno dei quotidiani più importanti e letti del mondo.
L’articolo inizia con una domanda, che stabilisce subito il tono: “Perché il movimento pro-choice si trova così spesso in un “accovacciarsi” difensivo?”.
Continua con un altro verbo “cringed” (farsi piccolo, umiliarsi) riferendosi alla sua reazione quando la giornalista ha visto la presidente di Planned Parenthood, Cecile Richards, mentre si scusava in un video su YouTube per la mancanza di “compassione” nel linguaggio dei dottori ripresi a pranzo dai filmati denuncia dell’anti-abortista Center for Medical Progress.
La Pollitt, ovviamente, non credeva fosse il caso di scusarsi. Afferma, infatti, che “logicamente” non è importante come parlino dei dottori durante incontri presumibilmente privati (nonostante fossero in un luogo pubblico, a bere vino mentre parlavano di quali “parts” fossero più richieste per la ricerca, come estrarli non danneggiandoli ed ovviamente il prezzo di questi), e continua facendo un paragone: fossero stati dei cardio-chirurghi, “dubito che sarebbe stato un problema”. E rincara sarcastica: “Ma questi sono abortisti, e la differenza sta tutta qui.” Quindi, si deduce, che per la Pollitt l’operato di un cardio-chirurgo e di un medico abortista sono dello stesso valore.
Rimane, poi, in linea con il NYT e molta opinione “liberal” americana: i filmati del CMP sono fortemente editati e comunque la legge americana non vieta di farsi rimborsare le spese logistiche e di trasporto dei “tessuti fetali” “donati” per le ricerche sulle cellule staminali, dunque “Planned Parenthood non vende bambini abortiti per profitto (che è contro la legge)”.
I filmati – che non sono manipolati – raccontano un’altra storia, ma la parola “legge”, è usata in questo contesto in modo da far credere, ad una lettura veloce, non solo che Planned Parenthood la rispetti, ma che questa sia a prescindere sempre giusta: il fatto che dei corpi di bambini abortiti vengano usati per la ricerca è dato per scontato, è del tutto accettabile. Anzi, più in là nel testo, con grande arroganza ma con la spontaneità di chi sa che il suo pensiero è largamente condiviso, afferma che bisogna ascoltare con grande attenzione la comunità scientifica perché “gli attivisti antiabortisti stanno premendo per un divieto su questa ricerca, che – ironia della sorte – è utilizzata per trovare cure per bambini malati.”
Ironia.
Ma la Pollitt continua dicendo che “i video abilmente evocano viscerali sentimenti di disgusto – immagini grafiche, medici che usano i termini “schiacciare” e “croccante” – per attivare lo stereotipo dei fornitori d’aborto arraffa denari e assassini di bambini”. La parola “abilmente” allude ad una manipolazione delle immagini e del lessico da parte degli antiabortisti, quasi che i “sentimenti di disgusto” fossero generati dalle immagini grafiche, dai termini, e non dai fatti stessi, reali, che i video documentano.
La Pollitt include le innumerevoli ragioni, tra cui anche la violenza, per cui una donna sceglie di abortire e del dramma che accompagna questa dolorosa, angosciante (nel testo “agonizzante”) decisione, ma sottolinea con forza che l’aborto non deve necessariamente avere un motivo, e che è necessario dire che le donne “hanno rapporti sessuali, abortiscono, sono in pace con questa decisione e vanno avanti con le loro vite” e sostiene che “è un bene per tutti che abbiano questo diritto”, che “l’intera società ne beneficia quando la maternità è volontaria” e che quando soprassediamo queste “verità”, stiamo “promuovendo involontariamente proprio lo stigma che si sta combattendo. Perché non hai “agonizzato”? Ti sei dimenticata la pillola? Semplicemente non volevi un bambino? Dovresti vergognarti.”.
Le opinioni della Pollitt sono presentate al lettore come la verità. Completamente omesso, fuori dal sistema di pensiero è il concetto che quel bambino sia un essere umano, un bene per tutta la società, anche se la madre non è pronta o non lo vuole, e che l’aborto potrebbe essere deleterio proprio per lei, oltre che il suo bambino, e che altre soluzioni, come l’adozione, sono possibili per entrambi.
Invece l’idea che bisogna essere voluti per esistere, che la ricognizione del proprio essere debba dipendere da un altro essere umano, che un bambino in più, non voluto, non debba andare a pesare sulla società intera sono il sottofondo potentissimo di questa filosofia.
Un altro errore difensivo dei pro-choice, secondo la Pollitt, è che coloro che dovrebbero, non parlano. Se tutte le donne che abortiscono felicemente? (Secondo il Guttmacher Institute, quasi una donna su tre abortirà almeno una volta prima della menopausa) Poi, mariti, fidanzati, amici, genitori…perché non alzano la voce? “Non è che pensano di aver fatto qualcosa di sbagliato” perché un recente studio pubblicato su PLOS One conferma che il 95%, sì, il 95% delle donne afferma che abortire è stata la scelta giusta sia immediatamente che dopo tre anni. Ma sono ridotte al silenzio dallo stigma sociale! E poi: “Gli oppositori dell’aborto sono lietissimi di riempire quel silenzio con la testimonianza dalle loro fila: la minuscola minoranza di donne che affermano di essere afflitte dal rimorso, vittime di stupri contente di aver continuato la gravidanza, donne che hanno rifiutato il consiglio del loro medico di interrompere una gravidanza e – guarda queste adorabili immagini del bambino! – è andato tutto bene”.
Il tono di queste parole lascia palesemente trapelare una forte aggressività e un chiaro pregiudizio contro le donne che hanno scelto di proseguire con la gravidanza (e quando parla di “minuscola minoranza”, non include alcuna fonte o studio reale a riguardo).
Che la Pollitt sappia bene il potere della parola ci è confermato dal paragrafo successivo, in cui invita i lettori a “non lasciarsi ingannare” perché “queste voci arrivano in alto” e cita la decisione del Giudice della Suprema Corte Anthony M. Kennedy del 2007 di conferma del Partial-Birth Abortion Ban Act (legge che vietò l’aborto a nascita parziale – cioè la legge che vieta l’aborto a richiesta senza limite di tempo, anche a 9 mesi, praticato con l’induzione del parto e l’uccisione del bambino atraverso lo schiacciamento del cranio quando è ancora nel canale cervicale: perché se la testina esce dal corpo della madre, il bambino è riconosciuto come persona dalle leggi degli Stati Uniti e quindi dovrebbe essere soccorso e salvato). Nella motivazione il giudice “menzionò specificamente” la “ineccepibile” possibilità che la donna potesse in seguito pentirsi della sua decisione. La Pollitt attacca l’uso di questa parola, perché non si può considerare normale, umano, possibilissimo, che la donna possa pentirsi dopo. É infastidita dal fatto che “sia ora un precedente legale” che “le donne debbano essere protette da decisioni di cui potrebbero pentirsi più tardi” e aggiunge che non c’era nessuna prova a supporto di questa “nozione” (idea, non fatto). In effetti, la Pollitt considera una “minuscola minoranza” le donne che dicono di pentirsi, quindi fondamentalmente senza voce in capitolo.
La giornalista americana conclude l’articolo riferendosi di nuovo a Planned Parenthood come “cliniche per la salute”, nonostante le prove incontrovertibili sulle attività della catena, e pone la domanda se ora gli americani si faranno dettar legge sui “diritti riproduttivi, la medicina e la ricerca scientifica” dagli “estremisti anti-abortisti” perché questi “contano” sul “silenzio, la vergogna, la paura e lo stigma”.
Quindi, chi è dalla parte di Planned Parenthood è per i “diritti riproduttivi, la medicina e la ricerca scientifica” e chi si oppone alla compravendita di resti di bambini abortiti è un “estremista” che “conta” sul “silenzio, la vergogna, la paura e lo stigma”.
L’ortodossia del pensiero liberal e abortista viene fuori con spaventosa realtà non solo dalle parole della Pollitt, che evocano distopie di Orwelliana memoria e che con potere distorsivo e minaccioso mascherano la verità degli accadimenti, ma anche dalle centinaia di commenti che invito a leggere personalmente, dove con fatica i pareri contrari si difendono dalla massa che loda la Pollitt per il suo “coraggio” e per il suo scrivere così “ben documentato”.
Italo Calvino, proprio nelle sue Lezioni Americane ci ricordava: “Dove si fa violenza al linguaggio, è già iniziata la violenza sugli umani.”
Daniela Fraioli
DIFENDIAMO I BAMBINI E LA FAMIGLIA DALLA LEGGE CIRINNA’
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