08/12/2014

Aborto: i sopravvissuti hanno diritto d’essere curati

Abbiamo già scritto dell’indecente rifiuto del Commissario del Consiglio d’Europa, per i diritti umani, di interessarsi del problema dei bambini che sopravvivono all’aborto. La cosa non può finire così.

Un insieme di Associazioni europee, tra cui Pro Vita onlus, guidate dal Centro Europeo per la Legge e Giustizia (ECLJ), sostenute già da più di 130.000 cittadini europei, si prepara a sottoporre la questione dell’aborto tardivo e degli infanticidi neonatali all’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa (PACE).

Questa iniziativa consegue non solo al rifiuto del Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa di affrontare la questione, ma anche alla “incapacità” del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa ad adottare una posizione comune sulla questione.

L’ ECLJ chiede al PACE una condanna ferma ed esplicita dell’infanticidio neonatale e la riaffermazione del diritto alla vita di ogni bambino, nato in qualsiasi circostanza.

A chi non vuole cliccare sui link presenti in questo articolo, ricordiamo che le leggi che permettono l’aborto tardivo, anche oltre la ventesima settimana – come anche la nostra 194 – sono ormai diffuse in tutta Europa. E i bambini già verso la ventesima settimana riescono a vivere e a respirare autonomamente – magari per pochi minuti – fuori dal grembo materno: più in là avviene l’aborto, più probabilità ci sono che il bimbo sopravviva e debba affrontare un’orrenda agonia, che a volte dura ore, in mezzo ai rifiuti ospedalieri. Oppure viene soffocato. Oppure gli si pratica un’iniezione letale.

Per ovviare “all’inconveniente”, la Norvegia ha adottato una legge che vieta l’aborto dopo 22 settimane. La Francia, invece, prevede che si pratichi un’iniezione letale nel cordone ombelicale o nel cuore del piccolo, quando è ancora in grembo. Uno studio inglese valuta il tasso di successo al 87%: ciò vuol dire che il 13% dei bambini sopravvive nonostante il veleno. In altri paesi, per gli aborti tardivi si usa il metodo chiamato “dilatazione-evacuazione”, che consiste, in pratica, nell’estrarre il bambino dal grembo materno pezzo per pezzo. Non sempre viene praticata l’anestesia o l’iniezione letale al bambino prima di iniziarne lo smembramento.

La direttiva 2010/63 / UE dell’Unione Europea, che mira a garantire la protezione degli animali utilizzati a fini scientifici, vieta tali pratiche, ma non è applicabile agli esseri umani. Tuttavia, la norma citata riconosce che è “scientificamente dimostrato” che le “forme fetali di mammiferi” possono fare “esperienza del dolore, della sofferenza e dell’angoscia” anche prima del terzo trimestre di gravidanza. L’uomo è un mammifero, o no? E infatti molti studi scientifici dimostrano che il feto dell’uomo reagisce al tatto da otto settimane, e sente di certo il dolore dalla quattordicesima.

 Concretamente, l’ECLJ chiede al PACE, e al Consiglio d’Europa:

–  la generalizzazione del divieto dell’aborto sui bambini vitali;

– l’affermazione del diritto dei bambini nati vivi e non vitali a trattamento umano e cure palliative;

– l’affermazione del diritto dei bambini nati vivi e vitali alla vita e alle cure, indipendentemente dalle circostanze della loro nascita e del desiderio dei genitori.

In questo modo si applicheranno le norme del diritto europeo e internazionale già in vigore, in base a cui ogni essere umano nato vivo gode del diritto alla vita, all’integrità fisica e alle  cure mediche (artt. 2 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo).

Inoltre, tutti gli stati europei, che hanno adottato la Convenzione internazionale dei diritti del bambino, riconoscono  che “il fanciullo, a causa della sua mancanza di maturità fisica e mentale, ha bisogno di protezione e di cure particolari, ivi compresa una protezione legale appropriata, sia prima che dopo la nascita”;  e gli Stati firmatari si sono impegnati a garantire “nella misura del possibile la sopravvivenza e lo sviluppo del bambino” (articolo 6).

Il PACE, inoltre, già nel 1986 ha affermato che gli «embrioni e feti umani devono essere trattati in ogni caso con il rispetto dovuto alla dignità umana».

Redazione

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