In Italia la fecondazione artificiale rischia di diventare un’opzione possibile anche per donne single. La Corte Costituzionale, infatti, è stata chiamata - e la pronuncia è attesa in questi giorni - a esprimersi nel merito, a seguito del ricorso presentato da una quarantenne italiana, Evita, alla quale l’attuale legge 40/2004 sulla procreazione medicalmente assistita (Pma) vieta la possibilità di ricorrere a tale tecnica, in quanto essa è prevista esclusivamente per le coppie eterosessuali coniugate o conviventi.
La vicenda di Evita e Serena
La vicenda parte dalla storia di Evita, donna single e con un lavoro stabile, che vuole un figlio a tutti i costi. Così si rivolge a un centro per la Pma in Toscana che, stando a quanto prescritto dalla legge, non può accogliere la sua richiesta. Ma Evita non si dà per vinta e fa ricorso al Tribunale di Firenze, il quale solleva poi questione di legittimità costituzionale in relazione all’art. 5 della legge 40. A perorare la sua causa è l’Associazione Luca Coscioni, che presume per la sua assistita una violazione di diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione e dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (Cedu), come quello all’uguaglianza e alla salute. Di qui la Corte Costituzionale del nostro Paese è stata chiamata a pronunciarsi nel merito. Ma, in parallelo, c’è anche il caso di un’altra donna - Serena -, bresciana di 38 anni, a cui le cose sono invece andate diversamente. Dopo il diniego di due centri per la Pma in Italia, sempre grazie al supporto - o meglio alla strumentalizzazione ideologica della vicenda personale da parte della suddetta Associazione -, Serena si è recata in Spagna e ha ottenuto ciò che desiderava, per cui ora è single e incinta. D’altra parte, secondo quanto dichiarato dall’avvocato dell’Associazione Coscioni, Filomena Gallo, «la genitorialità, anche sulla base della giurisprudenza della Consulta, è basata, correttamente, sull’assunzione di responsabilità, che deve esserci a prescindere dal legame biologico e genetico, così come dallo status sociale, economico e quant’altro». Insomma, secondo la prospettiva dei Radicali, per avere un figlio è sufficiente anche un solo genitore noto, basta soltanto volerlo, per quanto la legge 40 vigente non lo preveda e i gameti debbano provenire comunque da due persone di sesso opposto.
Il parere contrario dell’Avvocatura dello Stato
In realtà un primo pronunciamento è arrivato, ovvero quello dell’Avvocatura dello Stato, che ha infatti dichiarato che «la questione di legittimità sollevata da Evita è inammissibile», sottolineando nel contempo come anche «i precedenti interventi della Corte sulla legge 40 hanno riguardato altri aspetti, ma mai hanno inciso sul requisito della famiglia per il nascituro». D’altra parte - pur ricordando come la Pma sia sempre e in ogni caso una pratica aberrante e disumana, poiché arriva ad un risultato con l’uccisione di decine di embrioni - è doveroso sottolineare come anche l’avvocato dello Stato Wally Ferrante ha rilevato che «solo il legislatore può prendere decisioni di questo tipo». Perché «il legislatore fa in modo che il bambino sia, almeno in partenza, nelle migliori condizioni riguardo al contesto dove si trova a vivere. Ha circoscritto l’accesso alla Pma affinché garantisca la migliore situazione per la crescita e l’identità personale di un bambino che avrà il diritto di sapere un giorno come è stato generato».
La sistematica demolizione della legge 40
La decisione attesa da parte della Corte Costituzionale - che ovviamente speriamo vada nella direzione del diniego di questa pratica per le donne single - non elimina però il fatto che, negli ultimi anni, proprio la Corte Costituzionale (ma anche tribunali ordinari e Corte di Giustizia Europea) ha operato una progressiva e sistematica demolizione della stessa legge 40 sulla Pma, facendo cadere molti dei limiti originariamente imposti dalla stessa norma. Tra questi in special modo il divieto di fecondazione eterologa (sentenza della Corte Costituzionale n.162/2014); il divieto di produzioni di più di tre embrioni e l’obbligo di contemporaneo trasferimento in utero di tutti gli embrioni prodotti (sentenza della Corte costituzionale n.151/2009). E ancora, il divieto di diagnosi preimpianto (per le sole coppie infertili); il divieto di accesso alla Pma alle coppie fertili ma portatrici di patologie genetiche (sentenza della Corte Costituzionale n.96/2015); quello di selezione degli embrioni per finalità terapeutiche e diagnostiche (incostituzionalità con sentenza n.229/2015). Restano dunque attualmente in vigore il divieto di utilizzo degli embrioni per la ricerca scientifica e revoca del consenso e quello di accesso a tali tecniche riproduttive per coppie dello stesso sesso, single e mediante utero in affitto.
Pertanto se la Corte Costituzionale dovesse dare il proprio assenso anche alla Pma per donne single questo costituirebbe un’ulteriore scure alla legge 40 e un abuso sul piano etico, in quanto sarebbe leso gravemente il diritto di ogni bimbo ad avere una mamma e un papà, come tra l’altro opportunamente rilevato nello stesso parere dell’Avvocatura dello Stato. Di qui si auspica che l’ennesimo capriccio di alcuni adulti non diventi ancora una volta un diritto, a detrimento dei reali diritti di embrioni innocenti. Di contro, come ha opportunamente dichiarato Maria Rachele Ruiu, portavoce di Pro Vita & Famiglia, si chiede «a Governo e politica tutta di investire maggiori risorse in piani di sensibilizzazione sociale sul serio tema dell’infertilità, della sua prevenzione e cura, anziché incentivare, come avvenuto con l’inserimento della PMA nei livelli essenziali di assistenza, un’industria che si arricchisce sfruttando il dolore di migliaia di coppie e mandando al macero, in tutto il mondo, milioni di vite umane». Soltanto in Italia, infatti, i dati più recenti dell’Istituto Superiore di Sanità - riferiti al 2020 - parlano di 94.865 embrioni prodotti dei quali solo 15.813 sono stati poi bambini nati, il che significa che circa l’83% degli embrioni non ha avuto un destino di vita.