In Italia, ogni anno, circa 1 bambino ogni 10.000 nascite presenta la spina bifida (significa circa 50 bambini all’anno), un difetto che colpisce la colonna vertebrale e il midollo spinale e che può risultare essere molto invalidante, e in casi estremi decretare la morte del bambino.
Tuttavia la prevenzione (si consiglia alle donne di prendere un integratore di acido folico già in fase pre-concezionale e per i primi tre mesi di gravidanza) e i progressi della scienza, infondono speranza. Pochi giorni fa l’Ansa ci informava del fatto che due bambini a 25 settimane di gestazione sono stati operati in utero per sanare il difetto di spina bifida. Gli interventi sembrano essere riusciti, anche se la sentenza definitiva si avrà alla nascita.
Per approfondire ulteriormente il tema, rilanciamo un articolo apparso sulla rivista cartacea Notizie ProVita, a firma di Lucia Masini.
Bambino con spina bifida: nuovi progressi
La diagnosi prenatale (DP) ecografica di malformazione rappresenta un evento di grossa sofferenza e preoccupazione per le coppie cui viene sospettata o diagnosticata un’anomalia del bambino in grembo.
In particolare, quando questa anomalia coinvolge il sistema nervoso – il “cervello” – del bambino non nato, l’angoscia dei futuri genitori diventa particolarmente forte perché in epoca prenatale è molto difficile valutare quale potrà essere l’effetto di questa anomalia sul futuro sviluppo neurologico del bambino. In alcune condizioni, quali i difetti del tubo neurale e in particolare la spina bifida (SB), ormai esistono ragionevoli certezze sulle possibilità diagnostiche e sulla prognosi.
L’esperienza del nostro Day Hospital Ostetrico riguarda 222 casi di spina bifida fetale diagnosticati tra il febbraio del 1980 e il dicembre del 2015. In questi anni si è avuto un miglioramento sia della precocità della diagnosi, sia della sua accuratezza, grazie anche al progresso tecnico delle apparecchiature ecografiche (ad esempio con l’introduzione delle tecniche di ecogra a tri- e quadri-dimensionale, 3D e 4D) e all’affiancamento con altre metodiche di imaging, quali la risonanza magnetica (RM) fetale. Questo ha comportato che, se dividiamo i casi di SB da noi osservati in 2 gruppi (A – 72 casi dal febbraio 1980 al dicembre 1994; B – 150 casi dal gennaio 1995 al dicembre 2015), nel gruppo A la DP è stata effettuata nel III trimestre nel 66.7% dei casi, mentre nel gruppo B è avvenuta nel 65.3% dei casi nel II trimestre e la percentuale di casi non diagnosticati si è ridotta dal 9.7% del gruppo A al 2.1% del gruppo B. Questo miglioramento della DP ha purtroppo comportato un aumento delle interruzioni volontarie di gravidanza, eseguite in altre strutture, in alcune delle pazienti che hanno avuto la DP nel II trimestre (7% dei casi nel gruppo A e 23% dei casi nel gruppo B).
La prognosi riguardo alla sopravvivenza dei neonati con SB è migliorata negli anni (globalmente l’82% dei nati vivi è sopravvissuto, il 73% dei nati del gruppo A e l’86% dei nati del gruppo B). Anche l’esito a lungo termine dei nati con SB è migliorato nel tempo, tanto che, globalmente, in 130 bambini con età superiore ai due anni, il follow-up a lungo termine (2-25 anni) ha messo in evidenza un normale sviluppo psico-intellettivo in circa l’80% dei casi. Le capacità motorie risultano gravemente alterate nel 39% dei casi (uso di sedia a rotelle), mentre il 61% dei bambini è in grado, con l’aiuto di tutori o meno, di camminare autonomamente.
Sicuramente le difficoltà maggiori si riscontrano in merito al normale funzionamento dell’apparato urinario e gastroenterico, in particolare degli sfinteri, che risultano malfunzionanti in circa il 70% dei casi.
In conclusione, la sopravvivenza dei bambini con SB è aumentata e la loro prognosi – grazie ad un’attenta gestione multidisciplinare prenatale, alla piani cazione del timing e delle modalità del parto e all’assistenza neonatale – è migliorata.
Tuttavia è necessario intensificare gli sforzi per la prevenzione primaria di questa condizione, sicuramente ottenibile con la supplementazione preconcezionale di acido folico, e per incrementare le possibilità della correzione in utero del difetto, poiché la chirurgia prenatale sembra ridurre la necessità di interventi neurochirurgici post-natali e migliorare, almeno a breve termine, le funzioni motorie.
Lucia Masini
Fonte: articolo pubblicato sulla rivista Notizie ProVita di maggio 2016, p. 11.