16/10/2024 di Luca Marcolivio

Come la scuola diventa terreno fertile per la propaganda gender

Gender, progetti Lgbt, sessualità fluida e indifferentismo sessuale, fino agli estremi – sociali e addirittura chirurgici – della transizione di genere, anche per minori. Sono le drammatiche caratteristiche che assume il mondo scolastico (e universitario) quando diventa terreno fertile proprio per la propaganda Lgbtqia+.

Certamente il binomio scuola-gender non nasce dall’oggi al domani ma è frutto di una lunga evoluzione culturale, che forse in parte affonda le sue radici già nella cosiddetta “liberazione sessuale” degli anni a cavallo del ’68. Ebbene oggi quella stessa “rivoluzione permanente” sta interessando l’infanzia, la gioventù e l’adolescenza facendo leva su più modalità e, soprattutto, sulla fragilità di bambini e giovani.

La scuola oggi, infatti, è spesso impregnata di quel relativismo e di quell’ideologia che fa diventare il contesto formativo dove crescono i nostri figli e nipoti straordinariamente permeabile agli agenti ideologici esterni all’istituzione scolastica. Un esempio su tutti? i vari collettivi e l’associazionismo Lgbtqia+ che, spesso bypassando astutamente i paletti giuridici ancora esistenti (consenso informato in primis e Carriera alias poi), introducono il gender a scuola, fin dai primi anni delle primarie, quando non addirittura dall’asilo.

Ma andiamo con ordine. Innanzitutto il contagio sociale nella scuola inizia sotto la falsa maschera di progetti, corsi, lezioni che dicono di voler – giustamente – contrastare tutte le forme di discriminazioni o – questo già più opinabile – “educare” all’affettività, ma finiscono poi per parlare solo o quasi esclusivamente di argomenti e temi ideologicamente orientati e a favore della sessualità cara al mondo Lgbt. Ecco dunque che possiamo ben dire che da oltre un decennio, se non forse due, la teoria gender si fa largo nelle scuole di ogni ordine e grado in tutta Italia. Negli ultimi tempi, poi, molte attività hanno addirittura abbandonato le maschere, le hanno proprio gettate per sbizzarrirsi con riferimenti espliciti al sesso, alla transizione di genere per i minori, all’identità di genere, agli organi genitali, all’autoerotismo, perfino nel linguaggio con l’uso di schwa e asterischi. I casi sono centinaia, che coinvolgono anche gli insegnanti indottrinati - e in alcuni casi complici - su come a loro volta “istruire” bambini e ragazzi sulle tematiche gender. Basti solo pensare che il Dossier prodotto da Pro Vita & Famiglia ha raccolto, negli ultimi anni, centinaia di progetti, escludendo ovviamente quelli rimasti segreti, insabbiati, poco pubblicizzati o comunque non arrivati all’attenzione di chi vorrebbe invece smascherarli.

Come si diceva, inoltre, nessuno sembra immune a questa deriva: dagli asili alle scuole elementari, passando per medie, licei e università. Ecco che l’indottrinamento scolastico sotto il vessillo della bandiera arcobaleno avviene in contesti di assoluta narcotizzazione ideologica e, qualora vi siano timide sacche di resistenza, queste vengono stroncate sotto il peso del politicamente corretto. Si arriva dunque a vere e proprie oscenità istituzionalizzate come corsi di formazioni per insegnanti di asili nido e scuole dell’infanzia che indottrinato i docenti a indottrinare a loro volta i più piccoli, magari parlando loro di  “sesso assegnato alla nascita”, che “non si nasce maschi e femmine” e dunque per mettere in discussione “un sistema estremamente binario”. O ancora spesso si sente parlare di lezioni in scuole elementari e medie – mentre nei licei sono praticamente all’ordine del giorno – su tematiche esplicite come masturbazione, orgasmo, preservativi e contraccezione, omosessualità e bisessualità, come si fa sesso o si resta incinta, che significa trans, genderfluid e genderless e così via.

I più colpiti, appunto, sono però Istituti superiori e licei, dove la propaganda gender ha più interesse a mettere mano e fa più presa sfruttando i fisiologici disagi, le confusioni e le “ribellioni” dell’adolescenza. In questo meccanismo ormai oliato, dispositivi quali la carriera alias o i bagni neutri nascono essenzialmente con la scusa di ovviare a situazioni presunta emarginazione. L’eccezione, allora, diventa la regola. Con l’aggravante che le identità fluide vengono riconosciute anche quando non è stata avviata alcuna transizione di genere, sulla base di un puro criterio di identificazione con il genere che si sceglie, indipendentemente da ciò che la biologia assegna alla nascita. Con un’aggravante. Come se non bastasse, infatti, questa misura che permette agli alunni di “scegliere” il nome e il pronome con cui essere chiamati, anche sui documenti scolastici, in base al “genere auto-percepito”, può essere adottata dai 14 anni in poi anche senza l’obbligo di informare i genitori dell’alunno che ne fa richiesta!

Uno tsunami gender nelle scuole italiane che ad oggi ha investito almeno 327 realtà di ogni ordine e grado in tutta la Penisola, soprattutto licei. Questa modalità, inoltre, quasi sempre calata dall’alto, ha conosciuto un significativo exploit anche in un gran numero di atenei. Due casi clamorosi e recentissimi – risalgono a questi giorni - su tutti: l’Università Bicocca di Milano, dove in un anno le carriere alias sono cresciute del 70% e la notizia riportata trionfalmente dalla stampa mainstream che ben 59 scuole della Lombardia (di cui metà a Milano e provincia) che le hanno sdoganate.

Quanto ai bagni gender neutral, ci troviamo di fronte a un altro abuso, perpetrabile con maggiore facilità. Anche in questo caso, la misura viene adottata all’insegna di un acefalo entusiasmo progressista, che taccia ogni forma di dissenso come becero oscurantismo reazionario. Anche di fronte a questa presunta conquista di civiltà, i giovani studenti assorbono tutto con molta passività, appoggiando plebiscitariamente l’innovazione, senza riflettere sugli abusi che ne potrebbero derivarne per esempio da parte di maschi che fingeranno di autopercepirsi femmine.

Quella del gender all’interno delle mura scolastiche è, in definitiva, una guerra che si combatte su più fronti e che i sostenitori dell’ideologia Lgbtqia+ combattono con un arsenale variegato, attingendo a munizioni apparentemente inesauribili. Eppure, chi ha a cuore la salute dei bambini e la libertà educativa delle famiglie ha molte frecce nel proprio arco.

Non basta denunciare gli abusi, eventualmente ricorrendo alle vie legali. Per ribaltare le sorti di questo conflitto, è necessaria una battaglia culturale, a partire dalle argomentazioni sui danni che la propaganda gender esercita sui minori. Danni psicologici, in primo luogo, che si manifestano nel profondo disorientamento provocato da un’ideologia che, in nome di una sedicente non discriminazione, rende i ragazzi ancora più insicuri, influenzabili, vulnerabili, quindi meno liberi.

L’altra argomentazione è legata ai danni fisici e psicologici determinati proprio dalla transizione di genere. Conviene incoraggiare i giovani in maniera così massiccia e insistente a compiere scelte così radicali e irreversibili? Le testimonianze rese negli ultimi anni dai sempre più numerosi detransitioners generano una risposta più che mai negativa. Proprio come la testimonianza di essere stata INGANNATA che in questi giorni sta portando in tutta Italia la detransitioner Luka Hein, nel tour per la Penisola organizzato da Pro Vita & Famiglia onlus.

Infine, ma non per importanza, il ruolo delle famiglie che sono chiamate a tutelare i propri figli salvaguardando la propria libertà educativa.  I genitori, infatti, hanno diritto di scegliere come educare i figli, soprattutto su temi così delicati e intimi come la sessualità e i disagi essi vivono e il diritto ad essere correttamente informati su tutto ciò che accade nelle classi scolastiche. Con i progetti gender e con la carriera alias ciò non avviene, nonostante il diritto di scelta educativa sia sancito dalla Costituzione Italiana (art. 30), dalla Legge 62/2000, dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (art. 26) ma anche dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, dalla Raccomandazione sugli insegnanti dell’Unesco e dalla Risoluzione sulla libertà di insegnamento nella Comunità europea dell’Europarlamento.

 

 

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