15/12/2021 di Luca Marcolivio

Crollo natalità in Italia. Blangiardo (Istat) a Pro Vita & Famiglia: «Servono risposte politiche per invertire la rotta!»

Il secondo anno di pandemia conferma e accentua i segnali di crollo demografico. I dati Istat di gennaio-settembre 2021 fanno registrare 12.500 nascite in meno rispetto allo stesso periodo del 2020 (anno durante il quale sono nati circa 15mila bambini in meno rispetto al 2019). Il numero medio di figli per donna nel 2020 è stato di 1,24, contro gli 1,44 del triennio 2008-2010. Se però si prendono in considerazione, le sole cittadine italiane, il numero medio di figli per donna nel 2020 scende a 1,17. Rispetto ai primi anni del secolo, poi, si è ormai esaurito l’effetto compensativo dell’immigrazione. Dal 2012 al 2020, infatti, sono diminuiti anche i nati con almeno un genitore straniero (quasi 19mila in meno).

Una sintetica lettura degli ultimi dati demografici è stata offerta a Pro Vita & Famiglia dal presidente dell’Istat, Gian Carlo Blangiardo, che si è detto comunque cautamente ottimista sia sulle misure di rilancio della natalità adottate dal governo (assegno unico in primis), sia sul modo in cui la popolazione si sta adoperando per il contenimento della pandemia che, inevitabilmente, ha dato ulteriore carburante al crollo demografico.

 

Professor Blangiardo, come vanno letti gli ultimi dati Istat sull’ennesimo freno alla natalità?

«È la prosecuzione di una tendenza in atto, non presenta novità rispetto al trend, però il trend stesso è in accentuazione. Quindi è un elemento che potrebbe costituire un problema in prospettiva».

Come giudica la risposta del governo, attraverso misure come quella dell’assegno unico?

«Una risposta politica c’è stata. Qualcosa si sta muovendo nella direzione giusta, si tratta ora di vedere quali saranno gli sviluppi e gli effetti. Rispetto alla linea tenuta in passato, io credo che comunque si tratti di un segnale assolutamente positivo. Quale sarà la conseguenza in termini di risultati, è chiaramente prematuro dirlo, comunque c’è da augurarsi che si continui in quella direzione e che questo possa portare a un’inversione di tendenza che in qualche modo si è resa necessaria».

In Europa e nel mondo, quali sono, secondo lei, i modelli virtuosi in fatto di politiche demografiche?

«Ci sono indubbiamente paesi messi meglio rispetto a noi. Nel Nord Europa, ci sono scenari dove si gioca molto sul welfare. Un caso classico è la Francia, dove si lavora in modo particolare sulle strutture e sugli aspetti economici e di conciliazione maternità-lavoro. Le leve su cui si può agire sono tante e talvolta variano in funzione della latitudine. A seconda della cultura dominante, dei comportamenti abituali, una misura sarà più utile rispetto ad un’altra. Iniziative concrete, nel mondo, ve ne sono già parecchie. Noi stessi stiamo iniziando a immaginarne alcune: asili nido, assegno unico e altre misure che tengono conto dei disagi che le famiglie incontrano. Si tratta di individuare una linea e di seguirla coerentemente, aspettando poi che le misure diano i loro frutti».

Per quanto ancora la pandemia inciderà negativamente sul trend demografico?

«La pandemia ha determinato una scossa sotto molti punti di vista, tra cui, ovviamente, quello demografico. Stiamo ancora pagando il prezzo di quello che è successo e stiamo cercando di contenerne gli effetti. Sono convinto che anche rispetto al fattore mortalità, tutto il discorso legato all’introduzione delle vaccinazioni e di un certo tipo di comportamenti più attenti, sia qualcosa che sicuramente aiuta e che certamente porterà a ridurre gli effetti negativi emersi in particolare nella prima fase. È in atto un contenimento delle conseguenze. Non è facile però ci si sta riuscendo e gli italiani nel complesso stanno collaborando bene. Siamo in un cammino virtuoso e bisogna camminare in quella direzione».

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