11/02/2022

Kevin Yuill: «Perché anche un ateo si oppone alla legalizzazione del suicidio assistito e dell'eutanasia?»

Riportiamo qui di seguito – in doppia lingua - il discorso integrale pronunciato da Kevin Yuill, lecturer dell’University of Sunderland e suicidologo, durante il convegno “Eutanasia: vite da scartare? Il dovere della società di fronte alla sofferenza”, organizzato da Pro Vita & Famiglia Onlus ed Euthanasia Prevention Coalition con la collaborazione di Family Day, Centro Studi Livatino, Amci, Forum Ass. Sociosanitarie e Movimento per la Vita,  presso la Sala Capranichetta dell’Hotel Nazionale, a piazza Montecitorio.




Vorrei scusarmi per l'approccio accademico, ma trovo che più faccio ricerche e penso a questo argomento, più diventa inquietante. Intendo mettere in evidenza i pericoli per la nostra umanità, esaminando il presente e la storia (sono uno storico).

Analizziamo innanzitutto l'ineguaglianza morale. Vogliamo che ci siano categorie morali separate di persone? Sanzionare il suicidio assistito/eutanasia per alcune categorie di persone le rende moralmente disuguali a quelle che non sanzioniamo e, anzi, tentiamo di impedirne attivamente il suicidio.

L'uguaglianza morale non è semplicemente un concetto religioso, ma si declina anche nella dignità intrinseca degli esseri umani. È stata incapsulata nell'Illuminismo ed espressa nella rivoluzione francese: "Liberte, Egalite, Fraternite" e nella rivoluzione americana: "Noi riteniamo che queste verità siano evidenti: che tutti gli uomini sono creati uguali".

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L'uguaglianza morale trova espressione anche nelle leggi sull'omicidio. Uccidere un'anziana di 86 anni che non dà valore alla sua vita non è un atto meno crudele di quanto lo sia un giovane di 24 anni che dà valore alla sua vita. La parità di valore che attribuiamo alla vita di entrambe queste persone - e di tutte le altre - riflette questa uguaglianza morale.

Perché dovrebbe essere diverso nel caso del suicidio? È giusto impedire strenuamente alle persone di uccidersi, anche se queste persone non apprezzano la propria esistenza in quel preciso momento. Questo è il nostro compito come esseri umani, come comunità. Non diciamo "violenti not fit injuria" (non c'è reato quando viene dato il consenso) in relazione alla maggior parte dei suicidi. Se acconsentiamo (e assistiamo) ai suicidi allo scopo di prevenire "sofferenze insopportabili" - che, naturalmente, non è una prognosi medica ma interamente soggettiva, come possiamo non rispettare i desideri del ventiquattrenne con il cuore spezzato?

Per un umanista, il suicidio talvolta è la decisione giusta per l'individuo. Qualcuno che si sacrifica per salvare gli altri, per esempio, è un atto bellissimo, che viene giustamente ammirato e osannato. Ma non possiamo prendere questa decisione per qualcun altro. E la nostra umanità ci impone di salvare l'uomo che è in bilico sul ponte. È sempre un atto virtuoso salvare una vita, anche se la persona riuscirà ad ammazzarsi il giorno dopo.

Dobbiamo partire dal presupposto che una vita umana vale la pena di essere salvata. Facciamo anche il possibile per prevenire la violenza contro un membro della nostra comunità, anche se l'assassino e la vittima sono la stessa persona. Quando vediamo qualcuno affogare, superiamo il nostro naturale rispetto per l'integrità fisica dell'altra persona e, come mi hanno insegnato all'epoca, la rendiamo incosciente se è necessario per salvarla. A volte, dobbiamo proteggere le persone da se stesse.

Ah, ma che dire di quelle categorie di persone a cui  rimane un'esistenza fatta solo di sofferenza? Senza dubbio, dovremmo onorare i loro desideri. Gli resta poco tempo e la vita non può che essere una tortura.

Osserviamo la sofferenza. Nelle zone in cui è legale, il dolore - o anche la relativa preoccupazione - non è tra le prime cinque ragioni per cui le persone scelgono questa opzione. Naturalmente, una prognosi terminale o il fatto di sentirsi dire che una condizione ti priverà gradualmente di tutte le tue capacità porta le persone a deprimersi, cosa molto comprensibile. Soffriranno. Ma, come vi diranno gli operatori degli ospizi, questa sofferenza - se non la malattia di base - è curabile. Le persone possono adattarsi.

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La chiave consiste nel fatto che il comandamento "Non uccidere" non è riservato ai cristiani. Una volta che tracciamo una linea tra le categorie di persone le cui vite riteniamo siano sacrificabili e quelle i cui suicidi cerchiamo strenuamente di prevenire, non abbiamo semplicemente camminato su un terreno scivoloso, ma siamo scesi da un precipizio morale. Infatti, chi può tracciare questa linea e mantenerla nelle " misure di sicurezza " di cui sentiamo tanto parlare? E in che punto dovrebbe essere tracciata?

Ogni paese che ha legalizzato il suicidio assistito e/o l'eutanasia sulla base delle sofferenze insopportabili dei morenti ha ampliato le categorie di coloro che ne hanno diritto nel giro di 10 anni. L'Olanda ne è un chiaro esempio. Il caso "Postma" riguarda un medico che ha ucciso sua suocera che stava morendo di cancro e che implorava di morire. Nel corso degli anni, la morte come trattamento si è espansa fino ad includere gli autistici e i ritardati mentali, i malati mentali gravi e altre categorie. L'aumento delle diverse categorie è stato ancora più drammatico in Canada, dove la stipula che la morte sia "ragionevolmente prevista" è stata abbandonata. Le persone disabili in Olanda, Belgio e Canada ora sono idonee semplicemente perché si presume che la loro disabilità diminuisca la qualità della loro vita. La frase "meglio morti" è spesso usata a proposito delle vite dei disabili.

Qual è il vero progetto che porta alla legalizzazione dell'eutanasia e del suicidio assistito? È un tentativo - un tentativo onesto e di solito ben motivato - di razionalizzare l'esistenza umana, di rimuovere il disordine alla fine della vita, di prevenire la sofferenza. Non si tratta del diritto di morire. Il diritto uguale per tutti gli adulti competenti di porre fine alla loro vita - con assistenza - onorerebbe almeno l'uguaglianza e la libertà umana. Ma coloro che si battono per questo diritto si oppongono al suicidio - e si oppongono anche fermamente al termine suicidio assistito.

Nella storia, i principi dietro l'eutanasia sono 1) la misericordia verso chi soffre; 2), la tesi secondo la quale le risorse economiche spese per mantenere in vita una persona con una qualità di vita minima sarebbero spese meglio altrove.

Estirpare la sofferenza è un progetto nobile ma chimerico e intrinsecamente pericoloso. Samuel Williams, che ha coniato la frase eutanasia nel 1870 ha combinato compassione e disprezzo quando ha detto che nessun problema si verifica quando "si toglie una vita che ha cessato di essere utile agli altri, ed è diventata un'inflizione insopportabile per il suo possessore". Con il cloroformio, divenne possibile ridurre la sofferenza. Ma questo fu presto razionalizzato nella riduzione della somma delle sofferenze umane. Perciò, nei primi anni del ventesimo secolo, la dottoressa Ella K. Dearborn chiese "l'eutanasia per i malati incurabili, i pazzi, i criminali e i decerebrati".

In Germania - anche prima del famigerato programma T4 Aktion lanciato durante il Terzo Reich, i consigli per l'eutanasia contenevano sia la compassione che la necessità di razionalizzare e controllare la morte. Nel 1922 un legislatore inviò richieste al Reichstag: "i. Sterminio dei malati di mente. 2. Omicidio per pietà per i ' malati terminali. 3. Omicidio per pietà per gli esauriti. 4. L'uccisione di bambini storpi e malati incurabili". In questo modo, naturalmente, si riduce eccome la sofferenza.

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In Olanda e in Canada ci stiamo muovendo in questa direzione. Esiste già l'eutanasia per i malati terminali e l'opzione del suicidio - ma non lo sterminio - per i malati di mente. Nei Paesi Bassi, l'iniziativa "Vita Completa", che ha l'appoggio dei principali partiti politici, garantisce l'opzione dell'eutanasia per tutti coloro che hanno più di 74 anni - l'eutanasia per gli esauriti.

Inoltre, il secondo principio - che le risorse economiche siano meglio impiegate altrove piuttosto che mantenere in vita qualcuno con una qualità di vita minima - racchiude un principio totalitario: che l'individuo debba essere sacrificato per il bene della società. Fa ancora parte della discussione, anche se non è sostenuto come lo è stato in passato. Di nuovo, minaccia il nostro senso morale, il nostro rispetto per l'umanità presente in ogni persona.

Nulla di tutto ciò equivale a suggerire che coloro che vogliono l'eutanasia e la morte assistita condividano qualcosa con i nazisti, che portarono questa logica all'estremo e uccisero brutalmente le persone negli ospedali psichiatrici. Le persone contrarie al mio punto di vista sono persone autenticamente umanitarie e ben motivate.

Ma l'eutanasia e la morte assistita offrono una soluzione tecnica a una crisi morale sia per l'individuo che per la società. È il singolo che si trova di fronte alla domanda esistenziale con la quale l'uomo si è sempre confrontato: essere o non essere. La società vorrebbe risolvere il problema della sofferenza con una soluzione che, usando le stesse parole di H. L. Mencken, è semplice, chiara e sbagliata.




Why does an atheist oppose the legalization of assisted suicide and euthanasia?

I must apologise for the academic take on this but I find that the more I research and think about this subject, the more disturbing it gets. I wish to point out the dangers to our humanity, looking at the present and at history (I am a historian).

Let us first look at moral inequality. Do we wish for there to be separate moral categories of people? Sanctioning AS/E for some categories of people renders them morally unequal to those who we do not sanction and, even more, actively try to prevent their suicide.

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Moral equality is not simply a religious concept but is also expressed as the inherent dignity of human beings. It was encapsulated in the Enlightenment and expressed in the French revolution: “Liberte, Egalite, Fraternite” and the American Revolution: “We hold these truths to be self-evident: That all men are created equal.”

Moral equality also finds expression in homicide laws. It is no less wicked to kill an 86yr old who does not value her life than it is a 24yr old who does value his life. The equal value that we place on the lives of both of these people – and all others – reflects this moral equality.

Why would this be any different for suicide? It is right to strenuously prevent people from killing themselves, even if these people do not value their own existences at the time. That is our job as fellow humans, as a community. We do not say “violenti not fit injuria” (there is no crime when consent is given) in relation to most suicides. If we allow (and assist) suicides for the purpose of preventing “unbearable suffering” – which, of course, is not a medical prognosis but entirely subjective, how can we not respect the wishes of the lovelorn 24 yr old?

For a humanist, suicide is occasionally the right decision for the individual. Someone sacrificing herself to save others, for instance, is a beautiful act, rightly admired and celebrated. But we may not make this decision for someone else. And our humanity demands that we save the man teetering on the bridge. It is always a virtuous act to save a life, even if the person manages to kill himself the next day.

We must assume a human life is worth saving. We also try to prevent violence against a member of our community, even if the killer and victim are the same person. When we see someone drowning, we overcome our natural respect for the physical integrity of the other person and, as I was once trained, render them unconscious if it is necessary to save them. Sometimes, we must protect people from themselves.

Ah, but what of those categories of people whose remaining existence is only suffering? Surely, we should honour their wishes. They have very little time left and life can only mean torture.

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Let us look at suffering. In areas where it is legal, pain – or even concern about it – is not in the top five reasons why people take the option. Of course, a terminal prognosis or being told that a condition will gradually rob you of all of your abilities will depress people, very understandably. They will suffer. But, as those who work in hospices will tell you, this suffering – if not the underlying disease – is curable. People can adjust.

The key is that the Commandment “Thou shalt not kill” is not reserved for Christians. Once we draw a line between categories of people whose lives we believe to be expendable and those whose suicides we will strenuously try to prevent, we have not so much stepped onto a slippery slope as stepped off of a moral precipice. For who can draw that line and maintain it in the “safeguards” that we hear so much about? And where should it be drawn?

Every country that legalized assisted suicide and/or euthanasia on the basis of unbearable suffering of the dying has expanded the categories of those eligible it within 10 years. The Netherlands is a case in point. The “Postma” case concerned a doctor who killed his mother-in-law who was dying of cancer and begged to die. Through the years, death as treatment has expanded to include the autistic and intellectually impaired, the profoundly mentally ill, and other categories. The increase in categories has been even more dramatic in Canada, where the stipulation that death be “reasonably foreseen” has been dropped. Disabled people in the Netherlands, Belgium, and Canada now are eligible simply because their disability is assumed to decrease their quality of life. The phrase “better off dead” is often used about disabled lives.

What is the real project of legalizing euthanasia and assisted suicide? It is an attempt – an honest and usually well-motivated attempt – to rationalize human existence, to remove the messiness at the end of life, to prevent suffering. It is not about the right to die. The equal right of all competent adults to end their lives – with assistance – would at least honour equality and human freedom. But those campaigning for it oppose suicide – and even object strenuously to the term assisted suicide.

In history, the principles behind euthanasia are 1) mercy towards the suffering; 2), the argument that the economic resources spent in keeping someone with minimal quality of life alive would be better spent elsewhere.

To eradicate suffering is a noble but chimerical and inherently dangerous project. Samuel Williams , who coined the  phrase euthanasia in 1870 combined compassion and contempt when he said that no problem occurs when “a life is taken away that has ceased to be useful to others, and has become an unbearable infliction to its possessor”. With chloroform, it became possible to reduce suffering. But this was soon rationalized into reducing the sum of human suffering. Therefore, in the first few years of the twentieth century, Dr Ella K. Dearborn called for “euthanasia for the incurably ill, insane, criminals, and degenerates.”

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In Germany – even before the notorious T4 Aktion programme launched during the Third Reich, the suggestions for euthanasia contained both compassion and the need to rationalize and control death. In 1922 one legislator sent demands to the Reichstag: 'i. Extermination of the mentally ill. 2. Mercy killing for the ' terminally ill. 3. Mercy killing for the exhausted. 4. The killing of crippled and incurably ill children.'" This, of course, does reduce suffering.

In the Netherlands and in Canada, we are moving in this direction. We already have mercy killing for the terminally ill and the option of suicide – though not extermination – for the mentally ill. In the Netherlands, the “Completed Life” initiative, which has the support of mainstream political parties – promises the option of euthanasia for all those over 74 – mercy killing for the exhausted.

Moreover, the second principle – that economic resources are better spent elsewhere than keeping someone with minimal quality of life alive – contains a totalitarian principle: that the individual should be sacrificed for the good of society. It is still part of the discussion though it is not promoted as it has been in the past. Again, it threatens our moral sense, our respect for the humanity in every person.

None of this is to suggest that those who want euthanasia and assisted dying share anything with the Nazis, who took this logic to extreme and brutally murdered people in psychiatric hospitals. My opponents are genuinely humanitarian people who are well motivated.

But euthanasia and assisted dying pose a technical solution to a moral crisis for both the individual and for society. It is the individual who is faced with the existential question that has long faced humans – to be or not to be. Society wishes to solve the problem of suffering with a solution that, to use H. L. Mencken’s phrase, is simple, neat, and wrong.

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