I vertici scout italiani strizzano l’occhiolino al gender? Purtroppo non sarebbe una novità, dato che già nel dicembre 2022 Pro Vita & Famiglia dava una notizia che, anche riletta tutt’ora, non può non colpire: quella dell’apertura da parte di Agesci - acronimo di Associazione Guide e Scouts Cattolici Italiani – alla dicitura “genitore 1” e “genitore 2“. Sempre Agesci, nel marzo 2023, ha poi trasmesso a Capi, assistenti ecclesiastici e associati, una comunicazione nella quale si esortava a lavorare sull’identità di genere. Dunque una impressione, e forse anche più d’una impressione, che Agesci simpatizzasse per l’ideologia gender già cera.
Purtroppo quella già concreta impressione trova ora una nuova conferma in vista della Route nazionale delle Comunità capi 2024 - e rivolto ai membri delle comunità capi dell'associazione, cioè ai capi, appunto - che si terrà dal 22 al 25 agosto 2024 in Italia, precisamente a Villa Buri. In tale contesto, l’organizzazione ha fornito ai partecipanti alla Route, «otto box», presentati come «piccoli scrigni in cui abbiamo raccolto del materiale che vi offriamo per proseguire o guidare la riflessione attorno alla vostra speciale felicità». Questi «otto box» contengono altrettante declinazioni dell’essere felici, e cioè «felici di accogliere», «felici di vivere una vita giusta», «felici di prendersi cura e custodire», «felici di generare speranza», «felici di fare esperienza di Dio», «felici di essere appassionati», «felici di lavorare per la pace», «felici di essere profeti in un mondo nuovo».
Naturalmente la lettura di questi titoli non può che apparire confortante e condivisibile, positiva ed incoraggiante. Peccato che quando si va vedere che cosa ci sia dentro tali «otto box», ecco, ci si imbatte in contenuti, per così dire, meno entusiasmanti. Per esempio, nel primo di tali «piccoli scrigni», «felici di accogliere», viene consigliata la lettura di Fuori dall’armadio - Vita di giovani cristiani Lgbt, testo in cui sono contenute esperienze di vita di cristiani omosessuali ma anche di giovani che raccontano la loro «transizione», come fa tale Lorenzo, che la presenta entusiasticamente come «un passaggio: cambiare forma e poter sentire una connessione profonda. Assomigliare sempre di più a ciò che ero dentro modificando quello che ero fuori. Solo così la corteccia che mi soffocava si sarebbe aperta completamente» (p.42).
Ma c’è di peggio. Ovvero nel box «felici di generare speranza», c’è il libro dal titolo Mascolinità plurali - Dagli stereotipi alla libertà d’essere di Giuseppe Burgio, Professore di Pedagogia Generale e Sociale all’Università di Enna “Kore” – che non può non colpire, per il semplice fatto che in esso si sostiene come, al di là del dato puramente genetico e genitale, i due sessi sarebbero sostanzialmente identici, se non fosse per quelle differenze di genere che altro non sarebbero che dei meri costrutti culturali portatori di disparità, come tali, da superare. Tutto ciò, si badi, è scritto molto chiaramente nel volume in questione.
«Tra gli umani», si legge infatti, «la presenza di un pene o di una vagina viene usata come base per una serie di significazioni sociali, culturali, politiche, economiche, ecc. che non appaiono presenti tra gli altri animali non umani. Genere è il termine che usiamo per riferirci a questa differenziazione socioculturale che riguarda il modo in cui noi umani ci vestiamo, i giocattoli che usiamo da bambini, il modo in cui camminiamo, accavalliamo le gambe, gesticoliamo, i lavori che facciamo, le regole di cortesia che adottiamo le norme di corteggiamento (e riguardo l’iniziativa sessuale), l’uso di cosmetici e gioielli, gli sport in cui ci impegniamo, ecc. La differenziazione di genere comporta anche disuguaglianze» (pp.8-9).
In realtà, come dimostrano varie pubblicazioni – una realizzata anche da chi scrive, attraverso una corposa rassegna della letteratura scientifica -, pur senza scadere in un determinismo biologico, che sarebbe questo sì da rigettare, esistono validi argomenti per immaginare l’esistenza di un sostrato innato «che riguarda il modo in cui noi umani ci vestiamo, i giocattoli che usiamo da bambini» e tutto il resto. Tornando all’iniziativa di Agesci, l’argomento gender viene toccato anche in un altro box, «felici di essere appassionati», dove si propone la lettura di Una pastorale giovanile che educa all’amore, di Antonella Sinagoga e don Miguel Angel García Morcuende. Diciamo subito che questo testo ha il pregio di denunciare ed illustrare con chiarezza l’ideologia gender e il suo penetrare anche in presunti programmi educativi.
«Esistono programmi educativi e anche forme di attivismo politico profondamente problematici», scrivono infatti Sinagoga e don Morcuende, che correttamente aggiungono: «secondo queste prospettive, le presunte differenze naturali tra uomini e donne e il tradizionale sistema di genere sono un prodotto esclusivo della cultura. Per questa ideologia, la rigida dicotomia dei ruoli nella società e nella famiglia, i modelli comportamentali di uomini e donne e i rispettivi profili psicologici non sono altro che la risposta a un sistema di aspettative sociali e di distribuzione del potere, in breve, il risultato di una costruzione sociale. Questa prospettiva propone anche di ampliare il numero dei generi e quindi di dare origine a diverse identità sessuali possibili, scelte a piacere e modificabili in varie fasi della vita. Il sesso biologico di venta così irrilevante, fluido e quindi soggetto a cambiamento per autodeterminazione più volte nel corso della vita. Si tratta di una rivendicazione dell'identità sessuale come scelta individualistica» (p.60).
Sono parole da sottoscrivere in pieno, anche se anche questo testo – là dove per esempio parla dell'incongruenza di genere (pp.64-65) - avrebbe potuto essere più chiaro nel ricordare un dato fondamentale, e cioè che nove volte su dieci chi sperimentale tale disagio lo supera poi naturalmente.
Questo per dire che neppure il pur serio testo di Sinagoga e don Morcuende riesce a rendere equilibrata il progetto di preparazione alla Route nazionale delle Comunità capi 2024 dell’Agesci che, almeno per quanto riguarda il tema del gender, appare sbilanciata rispetto a quello che Papa Francesco ha recentemente definito non già come un problema, e neppure come una criticità tra le tante, ma addirittura come una ideologia che costituisce «il pericolo più brutto» che abbiamo avanti.
E pensare che ci sono vari passaggi nello Statuto dell’Agesci – basti guardare all’articolo 1 e dall’articolo 9 – che dipingono l’associazione «come iniziativa educativa liberamente promossa da credenti» che «vive nella comunione ecclesiale la scelta cristiana», con i suoi soci adulti che «sono donne e uomini che attuano il loro servizio nei modi propri dello scautismo, realizzando così, come membri della Chiesa, la loro vocazione cristiana». Definizioni alle quali sarebbe bello, almeno per quanto riguarda i «box» preparatori per i lavori per i capi scout di cui si è qui parlato, vi fosse una corrispondenza più netta.