Il 26 di questo mese il ddl Cirinnà entra formalmente nell’aula di palazzo Madama per la discussione: il matrimonio gay (inutile che insistano a parlare di “unioni civili”) potrà diventare legale.
Molti sostengono, come Assuntina Morresi sull’Occidentale di qualche giorno fa, che “il Presidente del Consiglio farà di tutto per farlo approvare quanto prima, mantenendo l’antica promessa fatta fin dalle primarie – approvazione della civil partnership ‘alla tedesca’, cioè riconoscimento di unioni di fatto omosessuali in forma simil-matrimoniale, con adozione del figlio del compagno”.
Al riguardo, la professoressa sottolinea che in tale contesto, paradossalmente, ciò che manca “è proprio una riflessione pubblica sulla famiglia, sulle mutazioni che ha subìto negli ultimi decenni e sulle conseguenze che ne sono venute”.
Come giustamente ha evidenziato la Morresi, infatti, è fondamentale riflettere a monte sul tema della “famiglia” per contestualizzare il dibattito politico e, soprattutto, per prendere consapevolezza delle conseguenze di provvedimenti come quello che sta per giungere all’approvazione.
A tal fine, la docente trova utile come punto di partenza il libro “Le nuove famiglie”, di A.L. Zanatta (ed. Il Mulino, 2008), che risulta particolarmente interessante perché quanto scritto 8 anni fa è quanto mai attuale.
La chiave di lettura è quella della crisi inarrestabile e irreversibile del matrimonio. Una crisi che, contrariamente a quanto viene costantemente ripetuto dai media, non ha motivi economici ma innanzitutto culturali e sociali, causati dall’ondata di secolarizzazione che ha colpito il mondo occidentale.
È fondamentale infatti distinguere l’instabilità e la pluralità delle forme di convivenza, da sempre esistite, dall’attuale crisi del matrimonio come istituzione: nella storia infatti ci sono sempre state donne che hanno cresciuto da sole i propri figli, o famiglie ricomposte dopo le seconde nozze di uno o entrambi i coniugi, con tutti i problemi dei figli di primo e secondo letto. Ma si trattava di fenomeni riconducibili a guerre, migrazioni, calamità naturali, o anche all’elevata mortalità per parto, che producevano un gran numero di vedove/i ed orfani, con tutte le ricombinazioni possibili che ne potevano scaturire nei legami familiari: eventi ineluttabili, quindi, comuni nella vita dei secoli passati, che però non mettevano minimamente in discussione l’istituzione matrimoniale.
La varietà di forme di convivenza che esiste adesso è invece il frutto di scelte consapevoli ed individuali, dettate dall’avversione o dall’indifferenza nei riguardi dell’istituto del matrimonio, o semplicemente dall’egoismo.
E anche per chi decide di sposarsi – sottolinea la Morresi – le nozze sono sempre meno concepite come istituzione pubblica e sempre più vissute come un contratto privato fra le parti.
Questo fenomeno, secondo la docente, è perfettamente sintetizzato dalla parola francese “démariage”, che indica una società “dematrimonializzata”, dove cioè il matrimonio non è più la base su cui si fonda la famiglia.
Le convivenze – emblema del disimpegno imperante nella società odierna – sono sempre più viste come alternativa al matrimonio, e sempre meno come momento di passaggio verso le nozze.
Altra sostanziale differenza rispetto al passato, è l’esistenza di un “genitore sociale”, in una forma mai esistita prima: in precedenza, infatti, la ricomposizione delle famiglie era tale per cui i “nuovi” genitori sostituivano quelli scomparsi o allontanati a causa di quegli eventi ineluttabili di cui si parlava prima.
Adesso invece i “nuovi genitori sociali” si aggiungono a quelli biologici, perché la ricomposizione delle famiglie è dovuta a separazioni, divorzi, rotture di convivenze, fecondazioni artificiali; tutti fenomeni volontari.
In questo quadro l’Italia rappresenta ancora un’eccezione, anche nell’ambito del modello mediterraneo dove l’istituzione matrimoniale resiste meglio all’attacco della postmodernità : la gran parte dei bambini italiani nasce ancora adesso da coppie sposate, mentre le madri nubili già nel 2008 superavano il 40% del totale in Austria, Svezia e Norvegia. In Italia, soprattutto, le reti parentali ancora svolgono un ruolo fondamentale di supporto.
Ma già nel 2008 tutti i dati mostravano come l’Italia stesse velocemente accorciando le distanze con gli altri paesi occidentali “dematrimonializzati”. Per questo motivo dunque, una legge come la Cirinnà potrebbe essere il colpo di grazia decisivo per la famiglia italiana, e contribuirà a fare del matrimonio un’opzione per minoranze, con tutte le conseguenze del caso. “Conseguenze sociali ed economiche – denuncia la Morresi – che non sono mai state seriamente studiate e misurate sul piano dei costi”.
Se l’unico linguaggio compreso dalla politica è quello della convenienza e del denaro, è su queste conseguenze che essa dovrebbe riflettere, prima di proseguire sulla strada del “démariage”: la famiglia è la prima fondamentale risorsa della società!
Basti riflettere su due realtà:
1 – La famiglia è risparmio.
2 – La famiglia è “previdenza e assistenza sociale gratuita” che non grava sull’Inps e sulle imposte dei cittadini.
Per quanto riguarda infine quello che possiamo fare noi (ossia il popolo) per contrastare il ddl Cirinnà, nel sottolineare l’utilità di una nuova manifestazione di piazza (una replica di Piazza San Giovanni dello scorso 20 giugno), la Morresi manifesta tuttavia un certo pessimismo sulla concreta possibilità di impedirne l’approvazione.
Ma, se scenderemo in piazza, i Parlamentari, che in fondo sono i nostri rappresentanti, l’avranno approvato senza il nostro consenso, neanche sottoforma di “silenzio-assenso”.
Insomma: forse scendere in piazza non servirà ad impedire la legalizzazione del matrimonio gay, ma servirà a poter dire: “Io non ne sono responsabile; io ho fatto il possibile per evitarlo!”
Laura Bencetti