L’AIDS e le altre malattie sessualmente trasmissibili non si combattono efficacemente con il preservativo, ma con l’educazione a comportamenti sessuali moralmente accettabili
Da quando è stato identificato, nel 1981, l’AIDS ha infettato circa 65 milioni di esseri umani e ne ha ucciso più di 25 milioni. Un vero e proprio flagello che si trasmette prevalentemente per via sessuale e che nei paesi più sviluppati colpisce soprattutto un certo tipo di popolazione, in particolare la popolazione omosessuale. In altre parti del mondo, come in Africa, le epidemie sono di solito generali. A causa di questa malattia, la speranza di vita in diversi paesi africani si è ridotta addirittura di 30 anni.
Com’è noto, di solito la soluzione è individuata nella diffusione massiva di preservativi, perché, si dice, l’uso del preservativo riduce dell’80% il rischio d’infezione.
I sostenitori di tale strategia non mancano di denunciare e ridicolizzare chi, come la Chiesa Cattolica, per ragioni morali, o per altri motivi, pensa che la soluzione giusta sia da cercarsi altrove: guai a mettere in discussione la promozione del preservativo! Chi lo facesse attirerebbe subito su di sé l’ira e l’indignazione del mondo intero.
Molti ricorderanno il viaggio di Benedetto XVI in Camerun nel 2009. In quell’occasione il Papa dichiarò: “Il problema [dell’AIDS] non può essere risolto distribuendo preservativi; al contrario, si rischia di peggiorare la situazione”.
Apriti cielo! Da ogni parte arrivarono forti critiche a quelle affermazioni: qualcuno, come George Monbiot nel Guardian, arrivò perfino a scrivere: “Ogni anno il Papa uccide decine, forse centinaia di migliaia delle persone più vulnerabili al mondo, mediante la semplice proibizione di utilizzare il preservativo”.
Persino molti “cattolici” si uniscono al coro: il preservativo diminuisce il rischio d’infezione; è inverosimile, dicono, che gli africani cambino i loro comportamenti sessuali: lasciamoli compiere allora atti immorali, ma almeno in modo sicuro.
Ma è davvero così sicuro? Spesso tralasciamo di considerare con la dovuta attenzione sia gli argomenti di ordine morale contro l’uso dei mezzi contraccettivi, sia le ricerche concrete nel campo della lotta all’AIDS.
Sull’aspetto morale della questione, la posizione della Chiesa è chiara e profonda. A coloro che vogliono ridurre l’atto sessuale a una dimensione edonistica e puramente ludica, la Chiesa ricorda che ben più alti sono il significato e la finalità naturale della sessualità: concepire niente di meno che una nuova persona umana, dare la vita stessa, opera che non ha equivalente in tutto il mondo fisico.
Deliberatamente privare l’atto sessuale di questo bene al quale è intrinsecamente ordinato non può che costituire, per definizione, un male morale. Su queste basi non bisogna confondere ciò che è lecito con ciò che è efficiente: la Chiesa deve indicare agli uomini il bene e non insegnare agli uomini come fare il male in modo più “sicuro”.
Indica la strada dell’astinenza e della fedeltà, comportamenti che prevengono la trasmissione della malattia: se poi il soggetto sceglie di comportarsi in modo immorale, non sarà certo colpa della Chiesa se assume rischi che poteva evitare seguendo la norma etica.
Ma c’è ancora un altro aspetto poco conosciuto e che sorprenderà molti: dai dati che abbiamo a disposizione risulta che la strategia basata sulla contraccezione non è nemmeno quella “efficiente”. È, al contrario, la strategia “etica”, basata sull’astinenza e sulla fedeltà, che risulta vincente anche nei fatti. Ma – si dirà – il preservativo non riduce dell’80% il rischio d’infezione? Quest’affermazione è solo parzialmente vera e, nel quadro complessivo, finisce per essere falsa.
Esiste, infatti, l’evidenza empirica che le persone assumono rischi maggiori quando sentono di essere protette da un mezzo artificiale. Molti ricercatori si sono resi conto che questo meccanismo si applica anche alle popolazioni che utilizzano contraccettivi per evitare di contrarre l’AIDS: chi usa il contraccettivo, sentendosi protetto, tende a moltiplicare i comportamenti rischiosi e, alla fine compensa o iper-compensa la protezione che il contraccettivo poteva procurare. Il fenomeno è conosciuto negli ambienti della sanità pubblica come “compensazione del rischio” o “disinibizione”.
In molti paesi dell’Africa subsahariana, i tassi di trasmissione di HIV rimangono alti e sono persino cresciuti, nonostante un aumento considerevole nell’uso del preservativo. È un fatto poi che i paesi africani con la disponibilità più alta di preservativi, come Botswana e Sudafrica, hanno anche i tassi più alti di AIDS al mondo. Il medesimo discorso vale per molti stati occidentali quanto alle malattie sessualmente trasmissibili (MST) in genere. I dati pubblicati dall’OMS indicano una ripresa generale nel mondo occidentale di MST: in Gran Bretagna, secondo la Health Protection Agency, negli ultimi dieci anni i tassi di MST sono più che raddoppiati tra gli adolescenti nonostante la crescente diffusione del preservativo e l’educazione al “sesso sicuro”; negli USA, nel 2008, circa il 25% delle ragazze adolescenti avevano una MST; da Canada, Svezia e Svizzera giungono dati analoghi.
L’astinenza e la mutua fedeltà sono le uniche misure di prevenzione con un’efficacia del 100%: la promozione della salute potrebbe essere ottenuta in modo più efficace ritardando l’inizio dell’attività sessuale, riducendo il numero di partner ed evitando rapporti occasionali.
Le ricerche statistiche lo confermano: diversi paesi in Africa sono riusciti a ridurre le epidemie di AIDS cambiando i comportamenti sessuali.
L’Uganda, che aveva il tasso di AIDS più alto al mondo, ha ottenuto una riduzione spettacolare delle infezioni durante gli anni ‘80 e ‘90. Il governo evidenziò che il cambiamento nel comportamento sessuale era il miglior modo per evitare la malattia. Il presidente Museveni dichiarò: “Sto chiedendo alla mia gente di ritornare alla nostra cultura di origine: niente sesso prima del matrimonio e fedeltà nel matrimonio. I giovani devono imparare disciplina, autocontrollo e a volte sacrificio”.
Il risultato: la percentuale di adulti con AIDS in Uganda nel 1995 era il 15%, nel 2001 diminuì al 5%.
Dopo l’Uganda, anche il Kenya adottò la stessa strategia. Nel febbraio del 2011 un’importante ricerca trovò che il tasso di AIDS in Zimbabwe era sceso di circa la metà, dal 29% di adulti infetti nel 1997, al 16% nel 2007.
Gli autori della ricerca, guidati da Daniel Halperin dell’Università di Harvard, dimostrarono chiaramente che la riduzione sostanziale dei rapporti sessuali occasionali ed extramatrimoniali spiegavano il calo di AIDS.
L’uso di preservativi, invece, non aumentò nello stesso periodo.
La conclusione che si delinea sorprenderà certamente i promotori del condom. E invece dovrebbe essere ovvio che non è possibile sconfiggere una malattia legata ai comportamenti, se non si cambiano i comportamenti stessi. La soluzione morale al problema dell’AIDS si rivela essere anche quella più efficiente.
Per concludere citiamo un esperto in materia, il dott. Edward Green, professore ad Harvard e direttore dell’AIDS Prevention Research Project: “Gli unici paesi in cui si segnala una flessione dei tassi di sieropositività sono quelli dove la gente ha ridotto il numero dei partner sessuali e ha praticato la fedeltà di coppia. … la lotta all’AIDS è un’industria multimiliardaria che sarebbe messa in pericolo da una strategia così semplice come quella che dice di non avere tanti partner, essere fedele, astenersi”. E conclude significativamente:
“Diffondevo contraccettivi in Africa. Oggi dico che solo la fedeltà coniugale batterà l’AIDS”.
di Alessandro Fiore