Dalla depenalizzazione della pratica abortiva all’abortismo ideologico il passo è breve, anzi brevissimo. Questo è ciò che sta insegnando – o meglio ricordando – l’esperienza di San Marino. Nel piccolo Stato, infatti, come si ricorderà, era stato indetto un Referendum propositivo per la depenalizzazione dell’aborto. In seguito alla vittoria dei «sì» (il 77% sul 60% dei votanti), è stata presentata una proposta di legge che nella apposita Commissione che ne ha, appunto, elaborato il testo. Un testo non solo moralmente ingiusto – come lo sarebbe quello di una qualsiasi norma che consentisse la soppressione prenatale -, ma anche saturo di contraddizioni e ideologia.
Iniziando da quest’ultima, basti pensare a quello che pochi giorni fa ha segnalato don Gabriele Mangiarotti, battagliero sacerdote che proprio per la causa pro life, a San Marino, si è speso senza riserve. Don Gabriele ha infatti denunciato il proposito, portato avanti dal legislatore sanmarinese, di istituire «un consultorio per sostenere coloro che vogliono abortire che “fornisce consulenza ed assistenza psicologica, ginecologica ed andrologica, per donne e uomini, anche minorenni, in tutte le fasi della loro vita e a seconda del loro orientamento sessuale… a tutti coloro che abbiano necessità di consulto psicologico relativo all’orientamento di genere”: ma questo (orientamento sessuale e di genere) che cosa c’entra con l’aborto?».
Difficile non condividere tali perplessità. Esattamente com’è difficile, passando invece alle contraddizioni della norma che si è scritta a partire dal citato esito referendario, non rilevare anzitutto quella secondo cui nelle prime dodici settimane dal concepimento, di fatto, non si è abbastanza umani perché non si prova dolore, in quanto i fasci nervosi del feto non sarebbero connessi adeguatamente. Quindi si può sopprimere una vita – è stato deciso - purché preliminarmente si parli Interruzione Volontaria di Gravidanza, così tutto maiuscolo, e non di aborto, parola «irriguardosa», nei confronti della sensibilità femminile. E si potrebbe andare avanti ancora, elencando anomalie e passaggi assai singolari, se non fosse chiaro un fatto di fondo.
Il fatto è che, anche a San Marino, per legalizzare l’aborto si è scelta la via dell’ipocrisia. Una via non nuova, naturalmente. Basti pensare alla legge 194 dello Stato italiano, che si configura anzitutto come «norme per la tutela sociale della maternità» - di aborto, come «interruzione volontaria della gravidanza», si parla subito dopo, ma questo è la prima parte del nome della norma -, peccato che, a distanza di decenni, della «tutela sociale della maternità» non ci sia traccia, mentre purtroppo abbiamo milioni e milioni di aborti che si sono già effettuati. Tutto questo per dire, o meglio ribadire, che quanto avviene nello Stato sanmarinese davvero non è nulla di inedito.
Semplicemente, si tratta della conferma di quello che si diceva all’inizio: la depenalizzazione dell’aborto volontario porta con sé l’abortismo ideologico, sempre e comunque. E questo per una ragione in realtà molto facile da comprendere, che è questa: il concepito è un essere umano. Punto. La scienza non solo non smentisce ma addirittura conferma e rafforza tale riconoscimento di umanità. Conseguentemente, per rendere – e mantenere - l’aborto legale, occorre asservire la politica e il diritto a logiche mistificatorie, che confondano cioè le acque e rendano meno riconoscibile il volto del non nato. Che tuttavia, ecco il punto vero, è – e resta – un volto umano, il volto di uno di noi. Il volto, dunque, di qualcuno che merita giustizia. E che non può essere paludato da artifici e da giri di parole, per quanto si tenti di farlo.