Gentile Direttore Marco Girardo*,
Gentile dott. Alessandro Rondoni**,
sull’inserto di Avvenire “Bologna Sette” del 23 giugno scorso, all’indomani della Manifestazione di Roma “Scegliamo la Vita”, Francesca Accorsi, in “Aborto sostantivo maschile”, scrive tre cose sulle quali vorrei confrontarmi. Invio perciò questa lettera aperta al giornale dei Vescovi sperando in un proficuo e pacifico scambio di riflessioni, ad majorem gloriam Dei.
Il pezzo dice che «chi lo subisce [l’aborto] sono solo le donne». Solo le donne? A parte il fatto che si riscontra la sindrome post abortiva e/o la sindrome da stress post traumatico anche nei padri, nei nonni, nei fratelli e persino negli operatori sanitari coinvolti, è, sì, vero che l’aborto ha conseguenze devastanti per il fisico e la psiche delle madri (perché quelle donne, volenti o nolenti sono madri nel momento in cui restano incinte), ma forse sarà il caso di ricordare che c’è “anche” un bambino che muore, o no? In troppi oggi credono ancora nella favola del “grumo di cellule”, quando il dato scientifico dell'umanità del concepito è da decenni (da quando è stato sequenziato il DNA) oggettivamente inoppugnabile.
In due punti dell’articolo si sostiene che la 194 rende l’aborto sicuro: prima le donne morivano nelle mani delle mammane, adesso «non muoiono più». Anzitutto è bene ribadire che le donne stanno molto male dopo un aborto. Quando non hanno problemi fisici, prima o poi si presentano loro problemi psichici che possono anche essere devastanti (peggio quando alla madre del bambino morto viene negata la verità e quindi viene negata la possibilità di elaborare il lutto). Però certo, chi impazzisce può sperare di guarire, mentre alla morte non c’è rimedio.
Mi sorprende, però, che si ignorino le Relazioni ministeriali al Parlamento: da anni esse riportano che il numero di donne morte per aborto «è basso». Il che vuol dire che le donne muoiono ancora oggi di aborto legale. Che il numero di donne morte sia «basso», da donna, non mi consola. E poi “basso” che vuole dire? 10, 100? Anche 1.000, rispetto ai 60 mila aborti calcolati sarebbe in fondo «un numero basso». Magari sarà il caso di andare a cercare i dati sulle donne morte per aborto. E da quando va di moda l’aborto chimico con Ru486 sono ancora di più! Neanche gli abortisti più spinti riescono a nasconderli del tutto: chiunque fosse interessato può consultare la letteratura scientifica (“laica”) in materia; e chi avesse difficoltà a reperirla, sul sito dell’OPA, www.osservatorioaborto.it, potrà gratuitamente scaricare due rapporti e un interessantissimo libro a proposito dell’umanità del concepito, ricchissimi di note bibliografiche. C’è inoltre il sito dell’OMS che pubblica gli indici di mortalità materna (MMR): si potrà constatare che l’MMR è tanto più basso quanto più le norme sull’aborto sono restrittive. Sarà solo una coincidenza?
Inoltre dal pezzo in questione si evince che sia un bene che pochi siano i preti che parlano di aborto. Perché? Nella catechesi, nelle omelie, non va più di moda parlare dei Comandamenti (e nella specie del V: “Non uccidere”)? Non si può parlare neanche di morale? Ed è mai moralmente accettabile la soppressione di un innocente? È mai moralmente accettabile la discriminazione di un essere umano a cui viene negato il diritto di vivere? Chissà, forse sbaglia il Papa quando scrive ai prolife scesi in piazza a Roma il 22 giugno: «Andate avanti con coraggio nonostante ogni avversità: la posta in gioco, cioè la dignità assoluta della vita umana, dono di Dio Creatore, è troppo alta per essere oggetto di compromessi o mediazioni. Sulla vita umana non si fanno compromessi!»
Cordialmente,
Francesca Romana Poleggi – Membro del direttivo di Pro Vita & Famiglia onlus
*Marco Girardo, direttore di Avvenire.
**Alessandro Rondoni, incaricato dell’Ufficio diocesano per le comunicazioni sociali dell’Arcidiocesi di Bologna e membro della Redazione del Centro di Comunicazione Multimediale della stessa Arcidiocesi, realtà che cura il settimanale “Bologna Sette”, dorso di Avvenire.