Fate attenzione, mi raccomando, prima di esprimere in Rete un pensiero contrario alle istanze Lgbt: in quattro e quattr’otto, si rischia d’esser schedati. Ma non dalle forze dell’ordine - non ancora, quanto meno –, bensì da Shinigami Eyes. Di cosa si tratta? Di una estensione di Google Chrome (ma anche di Firefox) che prende il nome da un personaggio della mitologia giapponese capace di vedere i nomi e la durata della vita degli umani fluttuare sopra le loro teste. Il suo scopo?
Consultando il sito ufficiale, si scopre che questo curioso meccanismo ha ufficialmente il fine di «far sentire le persone transgender più fiduciose nei confronti delle persone, dei gruppi e delle pagine di cui si possono fidare e di evidenziare possibili interazioni con quelle trans-ostili». Per fare questo, una volta effettuata una ricerca su Google Shinigami Eyes colora di rosso i nomi delle persone individuate come «transfobiche» e di verde quelli di quelle che sono ritenute «t-friendly», ovvero inclusive nei confronti della comunità transgender. Un vero e proprio sistema di suddivisione tra buoni e cattivi, ossia tra persone che possono restare libere di esprimere il loro pensiero e «transfobici» dai quali sarebbe meglio, invece, tenersi al largo; tale suddivisione vale per profili Facebook, blog e siti Internet.
Ora, c’è chi, per minimizzare, fa notare come tale estensione di Chrome esista dal 2018. Come a dire: cari pro family, suvvia, vi svegliate tardi. Sarà anche vero, anzi Shinigami Eyes potrebbe pure esser stata messa a punto mezzo secolo fa, ma in ogni caso la sostanza non cambia di una virgola: è quella di un dispositivo che, con apparenti finalità filantropiche ed inclusive, di fatto è invece profondamente discriminatorio. Nel momento in cui bolliamo con il colore rosso qualcuno o qualcosa stiamo infatti lanciando un messaggio ben preciso: quel qualcuno o quel qualcosa meritano di essere ignorati, se non avversati. E pensare, tanto per fare un esempio, che non serve essere «omofobici» né «transfobici» per avversare una legge contro l’omotransfobia.
Lo provano svariate personalità omosessuali, dallo scrittore Giorgio Ponte a Mario Ravetto Flugy, da Mauro Coruzzi (Platinette) a Umberto La Morgia. Eppure diversi di loro, secondo chi ha avuto modo di testare Shinigami Eyes, sono o rischiano di essere bollati come «transfobici», a pari di Mario Adinolfi, di Simone Pillon e di altri esponenti a vario titolo del mondo pro family. Questa estensione di Google Chrome funge insomma da tribunale virtuale, da inquisizione del Web titolata a dare o ritirare patenti di conformità al pensiero unico arcobaleno. Il che è oggettivamente molto triste, in quanto nulla è più lontano da un’ottica di dialogo che il bollare qualcuno a priori. Che è precisamente la funzione di tale sistema, rispetto al quale c’è chi pensa di sporgere denuncia, ravvisando profili di dubbia legalità.
Staremo a vedere come andrà a finire. Come arginare, intanto, una simile deriva? A questo punto, specialmente in casa pro family, un simile interrogativo sorge davvero spontaneo. Ebbene, un buon suggerimento potrebbe essere quello di continuare a dare ragione delle proprie tesi con pacatezza, laicità e determinazione. Senza, cioè, cedere mai né allo sconforto né a toni eccessivamente enfatici. Così che chiunque ascolterà le ragioni di un pro family, magari già preventivamente bollato come «transfobico» proprio da Shinigami Eyes, possa ricredersi.
Dopotutto, sono talmente surreali e violenti i pregiudizi – questi sì, ahinoi, aggressivi e violenti – a danno di quanti si battono a difesa della famiglia naturale, che non occorre poi molto per far capire a chicchessia come stiano davvero le cose. Basta, come si diceva, esporre il proprio pensiero con calma e chiarezza. Facile quasi come un clic su Google.