ProVita alla Pontificia Accademia delle Scienze!

Città del Vaticano, Casina Pio IV, Pontificia Accademia delle Scienze

sabato 7 novembre 2015

15:00:00

Il 7 e 8 novembre si è svolto, nella prestigiosa sede della Pontificia Accademia delle Scienze sociali, il simposio sulle schiavitù moderne e la tratta di essere umani: “Real Love Chases Away Fear, Greed and Slavery: Young Leaders Must Pave the Way”, al quale anche ProVita è stata invitata (si veda qui il programma).

Tra i partecipanti c’era Alessandro Fiore, portavoce di ProVita onlus, che ha tenuto una relazione, alla presenza di un centinaio di rappresentanti di associazioni di tutto il mondo, sull’utero in affitto come nuova forma di schiavitù e di tratta di essere umani“The commercialization of human Beings, Particularly the Bodies of Women and children”.

Il portavoce di ProVita ha spiegato come questo fenomeno relativamente nuovo, che prevede un contratto mediante il quale una donna accetta di portare avanti una gravidanza e poi, alla nascita, consegnare il bambino alla coppia committente, costituisca dal punto di vista giuridico una vera e propria tratta di essere umani.

Inoltre la c.d. maternità surrogata integra l’essenza stessa della schiavitù, in relazione al bambino, e si attua con modalità di radicale sfruttamento, anche nei confronti della donna portatrice: infatti il bambino è ridotto ad oggetto del contratto di surroga, esso è “la cosa” che viene trasferita da una delle parti contrattuali all’altra. Ora l’essenza della schiavitù consiste proprio in questa reificazione della persona. Inoltre, la commercializzazione della maternità la sottopone alle leggi di mercato, per le quali è più conveniente effettuare la pratica laddove i costi sono minori: ecco che molti committenti scelgono donne portatrici di paesi più poveri, e le donne stesse prestano il loro “consenso” solo perché a ciò in qualche modo costrette dalla situazione di bisogno e di povertà in cui si trovano. La portatrice viene poi considerata più come un “utero” sottoposto a controlli di qualità, che non nella sua dignità di donna, trattata cioè come incubatrice vivente, privata di fatto della sua libertà e, al momento del parto, privata coercitivamente anche del suo proprio bambino.

Redazione

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