10/03/2016

Donne ed emancipazione: dichiarazione congiunta all’ONU

ProVita è tra le organizzazioni non governative che ha sottoscritto la dichiarazione congiunta che sarà presentata oralmente durante la LX Conferenza delle Nazioni Unite sulla Situazione delle Donne (CSW60), in cui si tratterà di “L’emancipazione delle donne e il suo legame con lo sviluppo sostenibile”.

Questo il testo della dichiarazione:

Ana Caceres è nata con microcefalia. Da bambina, ha subito interventi chirurgici e ha dovuto superare enormi difficoltà e pregiudizi. I suoi genitori si  sono dedicati a lei, e le hanno dato amore, assistenza, e istruzione. Oggi Ana è una giornalista realizzata. Ciò di cui Anna aveva bisogno era il supporto della famiglia, la conseguente istruzione e l’assistenza sanitaria.
L’agenda per lo sviluppo del 2030 presenta nuove opportunità per affrontare la sfida dell’emancipazione delle donne attraverso la famiglia, l’istruzione e il sistema sanitario.

Ma ci sono degli ostacoli.

Le donne non saranno davvero emancipate finché la loro dignità e il loro valore anche all’interno della famiglia non saranno pienamente riconosciuti.
Un lavoro che non si misura in denaro e perciò non è considerato. La cura dei bambini, la cura degli anziani, e il lavoro domestico sono invece molto preziosi. E ce ne accorgiamo quando  se ne deve far carico qualcun altro o la previdenza sociale.

Le donne non saranno emancipate finché saranno prive di un’istruzione. Oggi si contano nel mondo fino a 500 milioni di donne analfabete. Esse sono le più povere tra i poveri. La loro mancanza di educazione è segno delle disuguaglianze insite nelle strutture sociali ed economiche in cui vivono.

Le donne non saranno emancipate fino a quando non avranno la possibilità di accogliere la maternità – anche imprevista – e di partorire.
La salute materna deve essere un punto centrale del programma di sviluppo delle Nazioni Unite. Fino a 300.000 donne muoiono ogni anno a causa di complicazioni per lo più prevenibili o curabili in gravidanza e il parto.

Meno del 2% delle donne sposate nel mondo in via di sviluppo dicono che mancano di contraccezione. I programmi di pianificazione familiare (e l’aborto) sono riccamente finanziati, mentre i finanziamenti per le infrastrutture essenziali alla salute materna sono in netto ritardo.

Tragicamente, alcuni suggeriscono l’aborto come soluzione per mortalità e morbilità materna. Ma l’aborto è la prima violazione dei diritti umani. Priva i bambini innocenti del diritto alla vita e normalmente non è una scelta: è una strada obbligata, spesso con la forza, ed è utilizzato come strumento per uccidere selettivamente le bambine nel grembo materno.

Le donne meritano di meglio.

Redazione

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