UCCR on line riassume i momenti principali dell’avanzata dell’ideologia gender nelle scuole italiane e la reazione della società civile che finora l’ha bloccata.
Non bisogna, però abbassare la guardia
Dopo aver conquistato le redazioni dei quotidiani, l’indottrinamento gender della popolazione deve partire dalle scuole. Per non dare troppo nell’occhio occorre nasconderlo sotto la maschera della lotta all’omofobia: motivazione certamente [meglio: “apparentemente”, ndr] nobile, seppur immotivata (lo dicono i numeri) e disattenta verso altre forme di discriminazione (le persone in sovrappeso, ad esempio, la categoria più discriminata in assoluto, molto più delle persone con tendenza omosessuale).
Il tentativo si è concretizzato per la prima volta nel 2013-2014 quando l’Unar (Ufficio nazionale anti-discriminazioni razziali), costituito nel 2003 dalla Presidenza del Consiglio, ha realizzato -a spese dei contribuenti- il kit “Educare alla diversità”. Tre volumi (qui quello destinato alla scuola primaria) di indottrinamento degli insegnanti indotti a cancellare le fiabe tradizionali (Biancaneve e i Principi azzurri) e a non fare più riferimento ad analogie con una prospettiva eteronormativa (ad esempio: “bambini, quando tornate a casa dite a mamma e papà che…”), poiché queste possono tradursi nella pericolosa assunzione «che un bambino da grande si innamorerà di una donna». Per l’Unar andrebbe vietato elaborare compiti che non contengano situazioni diverse, come ad esempio: «Rosa e i suoi papà hanno comprato tre lattine di tè freddo al bar. Se ogni lattina costa 2 euro, quanto hanno speso?».
Il kit anti-omofobia invitava anche i bambini e gli adolescenti a «sottoporsi a cure ormonali e operazioni chirurgiche» in caso di disagio verso il proprio sesso e presentava un bel «ritratto dell’individuo omofobo»: di solito di «età avanzata», con un alto «grado di religiosità» e di «ideologia conservatrice». I kit invitavano gli insegnanti a fare immedesimare gli alunni “eterosessuali” con gli “omosessuali” per metterli «in contatto con sentimenti e emozioni che possono provare persone gay o lesbiche». Venne proposto infatti un elenco di documentari (come Kràmpack), in cui la masturbazione fra due ragazzi è presentata come esplorazione e «gioco».
Inevitabilmente si scatenò la bufera, tanto da far intervenire l’allora viceministro con delega alle Pari opportunità, Maria Cecilia Guerra: «L’educazione alla diversità è e resta cruciale ma quel materiale didattico è stato realizzato senza che io ne fossi informata e senza alcun accordo con il Miur», la quale inviò una nota di demerito al direttore dell’Unar, Marco De Giorgi. Intervenne anche l’attuale sottosegretario del Ministero dell’Istruzione Gabriele Toccafondi, affermando: «Posto che la lotta alla discriminazione, di qualsiasi tipo, è sacrosanta, non credo possa però essere confusa con iniziative che con essa hanno poco o nulla a che vedere e che, invece, mi pare siano un tentativo di indottrinare i nostri ragazzi rispetto all’ideologia del gender e alle “nuove forme di famiglia”. E, fatto ancora più grave, senza coinvolgere le rappresentanze dei genitori all’interno della scuola». L’indottrinamento Lgbt da parte dell’Unar venne infine bloccato ed invece è stato diffuso un vademecum di autodifesa per i genitori.
Da ricordare anche il coraggioso intervento del card. Angelo Bagnasco, parlando apertamente di «una vera dittatura che vuole appiattire le diversità, omologare tutto fino a trattare l’identità di uomo e donna come pure astrazioni». Citando gli opuscoli dell’Unar ha spiegato che «in teoria le tre guide hanno lo scopo di sconfiggere bullismo e discriminazione – cosa giusta –, in realtà mirano a ‘istillare’ (è questo il termine usato) nei bambini preconcetti contro la famiglia, la genitorialità, la fede religiosa, la differenza tra padre e madre. Viene da chiederci con amarezza se si vuol fare della scuola dei ‘campi di rieducazione’, di ‘indottrinamento’. Ma i genitori hanno ancora il diritto di educare i propri figli oppure sono stati esautorati? I figli non sono materiale da esperimento in mano di nessuno, neppure di tecnici o di cosiddetti esperti». Molti allora lo criticarono per queste parole, accusandolo di remare contro “l’apertura” di Papa Francesco, si sono dovuti ricredere quando proprio recentemente il Santo Padre ha usato le stesse parole del card. Bagnasco per condannare la teoria del gender, ricordando quando in Argentina volevano introdurre «un libro di scuola dove si insegnava la teoria del gender […]. Questa è la colonizzazione ideologica: entrano in un popolo con un’idea che niente ha da fare col popolo e lo colonizzano con un’idea che cambia o vuol cambiare una mentalità. Ma non è una novità questa. Lo stesso hanno fatto le dittature del secolo scorso. Sono entrate con la loro dottrina. Pensate ai Balilla, pensate alla Gioventù Hitleriana».
Diverse le iniziative ideate per introdursi nelle scuole: ricordiamo, ad esempio, i tentativi di Arcigay per inserire nei dibattiti scolastici il transessuale Vladimiro Guadagno (detto Luxuria), rimandato a casa tuttavia da studenti, genitori ed insegnanti. Tanto che Silvia Vegetti Finzi, psicoterapeuta per i problemi dell’infanzia, ha affermato: «Vedo un rovesciamento di centralità: fino a qualche tempo fa le forme familiari diverse da quella tradizionale erano messe al bando. Ora hanno un’eccessiva attenzione. Non si tiene conto che si tratta pur sempre di una realtà minoritaria». La psicoterapeuta Maria Rita Parsi ha rivendicato il diritto del bambino «a riconoscersi in una famiglia naturale», contestando la «centralità che si tenta di attribuire a modelli familiari minoritari che nuoccino a una psicologia in evoluzione che cresce in un contesto tradizionale».
In conseguenza di tutto questo, diverse associazioni si sono (finalmente!) unite presentando una petizione in Senato, indirizzata al premier Matteo Renzi, al ministro dell’Istruzione Stefania Giannini e al futuro Presidente della Repubblica, intitolata “Disapplicare la Strategia nazionale dell’Unar”. Le associazioni organizzatrici sono: Pro Vita Onlus, l’Associazione Italiana Genitori (Age), l’Associazione Genitori e Scuole cattoliche (Agesc), i Giuristi per la vita e il Movimento per la vita. In poche settimane, basandosi solo sul passaparola online, hanno raccolto oltre 60 mila firme: «Un vero Family Day 3.0 – dicono i promotori – che rilanciamo anche su Facebook e su Twitter con una campagna di sensibilizzazione con l’hashtag #Nogender». Nella petizione si legge: «La non-discriminazione serve a nascondere la negazione della naturale differenza sessuale» riducendola a «fenomeno culturale obsoleto»; «la libertà di identificarsi in qualsiasi “genere” indipendentemente dal proprio sesso biologico»; la «normalizzazione di quasi ogni comportamento sessuale», ricordando gli esiti drammatici nei Paesi in cui sono già state applicato queste “strategie educative”.
Chiunque può firmare la petizione recandosi qui.
Citiamo infine le illuminate parole di Stefano Zecchi, ordinario di Filosofia alla Statale di Milano, ha spiegato che oggi si crede al gender «come prima credevano sinceramente che il comunismo salvasse il genere umano». «Lasciate in pace i bambini», ha affermato, «su di loro si sta esercitando un’ideologia violenta che non dovrebbe nemmeno lambirli. D’altra parte è tipico dei regimi, che come prima cosa si appropriano delle scuole: questo sta diventando un regime e infatti tutti hanno paura di reagire, anche solo dire che il padre è un uomo e la madre una donna è diventato un atto di “coraggio”. Siamo al grottesco. La teoria del gender non diventerà un fenomeno di massa, lascerà il tempo che trova: io non sono terrorizzato, sono disgustato, che è diverso».
La redazione di UCCR on line