Si è conclusa con una serata scoppiettante la seconda edizione Festival della Vita – Città di Trento promosso dal Coordinamento Famiglie Trentine in collaborazione con ProVita Onlus. “Procreazione artificiale e procreazione naturale”, questo il tema di cui si è occupata la relatrice Olimpia Tarzia, coordinatore nazionale del Comitato “Di mamma ce n’è una sola”, la quale ha lanciato ai presenti un messaggio molto chiaro: “Non bisogna rassegnarsi!”. Non bisogna cedere allo scoramento e indietreggiare di fronte al timore di far parte di un’inferiorità culturale, bensì perseverare con speranza, dal momento che sono le piccole azioni di molte persone a poter cambiare la realtà.
Nel fornire un rapido quadro dei molteplici attacchi a quali si sta recentemente assistendo nei confronti della Vita e della Famiglia, l’onorevole Tarzia ha portato i presenti a riflettere sulla manipolazione del linguaggio – quell’“antilingua” citata da Giovanni Paolo II nell’Evangelium Vitae – di cui si è spesso inconsapevoli vittime, ma che determina una fallace comprensione della realtà e una sottile manipolazione delle coscienze. Si pensi semplicemente al termine “aborto”, tradotto nella legge 194/78 con l’asettica sigla “IVG”, acronimo di “Interruzione volontaria di gravidanza”; oppure al bambino nel grembo materno che diventa il “prodotto del concepimento”. Eppure, in contrasto con questo, vi sono ancora – ha rilevato la relatrice – alcune rare situazioni dove a prevalere sono la Vita e il buonsenso, come quando una donna annuncia al marito la propria gravidanza: ella gli dirà “Aspetto un figlio”, non “Mi si è annidata una blastocisti nell’utero”!.
La creazione di quest’antilingua di orwelliana memoria assume una valenza molto importante in ambito bioetico, dove la cultura di morte e il relativismo etico – secondo il quale il Bene e il Male oggettivi non esistono – vigono pressoché incontrastati. Tuttavia, se un atteggiamento relativistico è insostenibile in tanti altri ambiti, perché dovrebbe esserlo in bioetica? L’onorevole Tarzia ha portato in proposito un esempio molto immediato: se avessi un bambino piccolo gli direi di non mettere le dita nella presa; ebbene, se un giorno venisse a casa un amico ateo o musulmano di mio figlio, gli direi esattamente la stessa cosa, perché quel gesto è oggettivamente un male, indipendentemente dall’età, dal sesso, dalla fede di chi lo mette in campo.
Dopo aver quindi fornito un limpido quadro della questione, la relatrice si è soffermata a parlare della “procreazione medicalmente assistita”, regolamentata in Italia dalla Legge 40/2004, e che da qualche mese è stata resa lecita anche nel caso di fecondazione eterologa.
Attorno a questo tema i punti deboli – e non sul piano morale! – sono molteplici: innanzitutto in quanto determina una grande perdita di embrioni, e quindi di vite umane (la percentuale di riuscita, di cosiddetti “bambini in braccio”, della FIVET si aggira attorno al 10%); in secondo luogo, per via della diagnosi preimpianto, che poggia su basi scientifiche ingiustificabili; infine, perché costituisce una ‘presa in giro’ per le coppie: essa non guarisce la loro sterilità, inoltre il fatto che sarà resa pubblica è economicamente insostenibile e in Italia non esiste una banca del seme e un registro dei donatori (che altro non sono, parlando secondo verità, dei “venditori”).
Infine, la relatrice ha spiegato brevemente cosa consiste la pratica dell’utero in affitto, che rende le donne schiave e i bambini merce da barattare per soddisfare un desiderio di maternità e paternità.
Nel concludere, l’onorevole Tarzia ha rilanciato l’appello iniziale a difendere la Vita e la Famiglia, senza temere per questo di essere impopolari. Nell’Evangelium Vitae si legge in proposito: “In sintesi, possiamo dire che la svolta culturale qui auspicata esige da tutti il coraggio di assumere un nuovo stile di vita che s’esprime nel porre a fondamento delle scelte concrete — a livello personale, familiare, sociale e internazionale — la giusta scala dei valori: il primato dell’essere sull’avere, della persona sulle cose. Questo rinnovato stile di vita implica anche il passaggio dall’indifferenza all’interessamento per l’altro e dal rifiuto alla sua accoglienza: gli altri non sono concorrenti da cui difenderci, ma fratelli e sorelle con cui essere solidali; sono da amare per se stessi; ci arricchiscono con la loro stessa presenza. Nella mobilitazione per una nuova cultura della vita nessuno si deve sentire escluso: tutti hanno un ruolo importante da svolgere”.
Giulia Tanel