06/12/2012

Ponte Milvio, mille e più per Gianna Jessen

Aborto, si può essere contro o si può essere a favore ma incontrare da vicino Gianna Jessen, colei che non doveva nascere, colei che è nata sopravvivendo ad un aborto di aborto praticato al settimo mese di gravidanza, è emozionante. E anche vedere oltre mille persone accalcate nella parrocchia Gran Madre di Dio a Ponte Milvio in qualche modo lo è stato. Credenti e non, dubbiosi o meno, in più di mille, sfidando freddo e pioggia, non hanno resistito al richiamo di Gianna Jessen, una vera forza della natura.

Alle 21 di martedì 4 dicembre la chiesa di Ponte Milvio è gremitissima: mamme e papà, giovani coppie, nonostante l’ora tanti sono gli anziani sulle panche stracolme. Ma soprattutto sono tantissimi, sono centinaia i giovani seduti a terra, sui gradini, in piedi, per oltre due ore affascinati da questa strana americana claudicante che fa gridare a tutti freedom chiedendolo con un timido sorriso.

“Al mio tre gridiamo freedom, one, two three”, e così è stato. Duemila braccia levate al cielo hanno accompagnato il grido di libertà. Poi un lungo applauso liberatorio.

Sempre più stupiti ci spingiamo in mezzo alla folla e guardiamo questi visi i cui sguardi sono catalizzati da quell’esserino di 35 anni che, piegata in due ed appoggiata al leggio, distribuisce parole di vita, voglia di amare e di essere amati, che lancia parole d’ordine come fosse un navigato predicatore, uno di quelli a cui ci hanno abituato i film, mentre invece è solo una piccola, minuta donna che deve la sua vita ad un aborto mal riuscito e che ha perdonato sua madre, allora 17enne, per essere entrata in quella clinica ed ha perdonato chi la indusse ad entrarvi, nonostante ne sia rimasta segnata per sempre.

E ora minuta e schiva, camminando con  difficoltà, gira per il mondo a parlare d’amore per la vita.

La storia di Gianna Jessen, diventata negli USA la bandiera del movimento pro life, è nota.
35 anni fa nacque a Los Angeles in una clinica per aborti legata alla associazione Planned Parenthood. La clinica aveva consigliato alla 17enne madre di Gianna, giunta al settimo mese di gravidanza, di abortire con aborto salino che consiste nell’iniettare nell’utero una soluzione salina che corrode il feto e lo porta alla morte. In seguito, a causa delle contrazioni uterine, il feto viene espulso morto entro le seguenti 24 ore.

Ma per Gianna questa tecnica non funzionò e lei nacque viva dopo 18 ore. Trasferita in ospedale riuscì a sopravvivere, nonostante pesasse solo nove etti; tuttavia la carenza di ossigeno causata dall’aborto le ha procurato una paralisi cerebrale e muscolare. Nonostante ciò Gianna imparò a camminare con tutore all’età di 3 anni. A vent’anni, grazie alle cure mediche, riuscì a ottenere la capacità di camminare senza tutore, seppure con notevoli difficoltà. Per sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema dell’aborto, nel 2006 è riuscita a partecipare e a completare la maratona di Londra, nonostante la difficoltà a correre.

E oggi gira gli USA e il mondo battendosi per il diritto alla vita.
E ieri era a Ponte Milvio, nel cuore dell’effimero della movida. Ma la piazza era vuota, totalmente deserta mentre la chiesa era stracolma di giovani. Significherà qualcosa?

Gianna Jessen racconta la sua storia con serenità, anche se non usa mezzi termini…”Sono stata abortita quando mia madre biologica aveva 17 anni ma anziché morire sono viva, dovevo essere cieca, bruciata, morta, e invece sono qui con voi, viva” per poi spiegare meglio perché lo fa…”vi racconto queste cose perché stiamo combattendo nel mondo una battaglia che vede affrontarsi la vita e la morte, la mia missione è portare un po’ di umanità in un dibattito che è diventato una semplice questione” fino a rendere definitivamente chiaro il suo obiettivo: parità di diritti al nascituro che deve averne tanti quanti ne ha la donna che lo ha concepito.
Se l’aborto è una questione di diritti della donna dov’erano i miei? – chiede Gianna alzando per la prima volta il tono della voce – Non c’è nessuna femminista che protesta perché i miei diritti sono stati violati e la vita è stata soffocata nel nome dei diritti delle donne?

Da cronisti, avevamo rimosso qualsiasi emozione prima di entrare in chiesa per ascoltarla ma restare con l’animo indurito non è stato facile.
Soprattutto girando lo sguardo intorno e vedendo duemila occhi fissi, quasi ipnotizzati, da quello scricciolo di donna che parlava di amore per la vita e che mentre parlava a noi faceva venire in mente la grande Edith Piaf, scricciolo anche lei, quando cantava L’hymne à l’amour.

Strano accostamento, senza dubbio. Come senza dubbio è stato un incontro particolarmente affascinante quello di ieri, dubbi a parte instillati da Gianna.

di Claudio Cafasso

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