Il Presidente del Gran Giurì dell’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria ha accertato che la campagna delle associazioni Pro Vita e Generazione Famiglia, non viola il suo codice. Il riferimento è ai manifesti choc affissi a Roma, Milano e Torino il 20 ottobre scorso, contro la pratica dell’utero in affitto. Nei cartelloni accompagnati da camion vela apparivano due giovani che spingevano un carrello con dentro un bambino disperato, comprato dalla coppia. I due giovani erano individuati come “genitore 1” e “genitore 2”, e al loro fianco compariva la scritta: “Due uomini non fanno una madre. #StopUteroinAffitto”.
Dopo qualche giorno la campagna è proseguita con altri manifesti, stavolta raffiguranti due donne, anche loro nell’atto di spingere un carrello con un bimbo dentro e la scritta: “Due donne non fanno un papà. #StopUteroinAffitto.
La campagna era rivolta a stigmatizzare l’atteggiamento di quei giudici e sindaci (in particolare Virginia Raggi a Roma, Chiara Appendino a Torino, Beppe Sala a Milano e Luigi De Magistris a Napoli) che, violando la legge e il supremo interesse del bambino, avevano disposto la trascrizione o l’iscrizione di atti di nascita di bambini come “figli” di due madri o di due padri.
I manifesti non erano però piaciuti al sindaco di Roma Virginia Raggi che dopo averne ordinato la rimozione aveva sanzionato le Associazioni con 20.000 euro di multa, 400€ a cartellone. A detta del primo cittadino capitolino quei cartelloni avevano carattere omofobo e offendevano la dignità dei bambini.
Pro Vita e Generazione Famiglia però non sono rimasti con le mani in mano, rispondendo per vie legali alla censura imposta dalla Raggi. Toni Brandi e Jacopo Coghe annunciarono: «La violazione della libertà di espressione attraverso la censura dei nostri manifesti contro l’utero in affitto è senza fondamento giuridico. Per questo abbiamo presentato una denuncia contro l’amministrazione capitolina, rappresentata dalla persona del sindaco Virginia Raggi, per il reato di abuso d’ufficio. Essendo stati perseguitati dal Comune di Roma per i nostri manifesti che dicono semplicemente la verità, ossia che “due uomini non fanno una madre”, tra l’altro nel pieno rispetto della legge che vieta questa pratica illegale nel nostro Paese, non solo denunciamo la Raggi alla Procura della Repubblica ma annunciamo anche un ricorso al Tar contro le rimozioni ordinate dal Comune di Roma, una sorta di intimidazione a non affiggere più manifesti aventi ad oggetto l’utero in affitto».
Ieri è arrivato il pronunciamento del Presidente del Gran Giurì dell’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria il quale ha stabilito che la campagna delle due Associazioni non ha violato il suo codice come invece sosteneva il sindaco Raggi. «Ora Virginia Raggi ci chieda scusa – hanno dichiarato Brandi e Coghe – e si renda conto che sono lei e le sue trascrizioni a non essere più ammissibili. I diritti civili non possono basarsi sul calpestamento dei diritti dei più deboli».
Si è conclusa così, con una brutta figura per il sindaco di Roma, una vicenda surreale che ancora una volta ha portato ad un capovolgimento della legalità. Con la censura verso chi, appellandosi al rispetto della legge, ha riaffermato ciò che è stato stabilito anche dalla Corte di Cassazione, ossia che l’utero in affitto è una “pratica contraria all’ordine pubblico”. Anziché punire chi viola la legge recandosi all’estero per ricorrere alla pratica, Raggi ha tentato di mettere il bavaglio a chi ha difeso la dignità delle donne e il loro diritto a non essere sfruttate, e la dignità dei bambini a non essere usati come merce di scambio. Arriveranno ora le scuse del sindaco? Conoscendo il personaggio non resta che dubitare.
Comunque le due associazioni, tra le promotrici del Family day, procederanno al ricorso al Tar contro l’ordine del sindaco di rimuovere i manifesti.
Americo Mascarucci