Con un’ordinanza giudicata quanto meno irrituale da buona parte della dottrina, la Corte Costituzionale ha imposto al Parlamento di legiferare a proposito di suicidio assistito ed eutanasia entro il 24 di questo mese di settembre. Il caso vuole che in questo stesso mese, dal 2003, l’Onu celebra la Giornata mondiale per la prevenzione del suicidio. Ogni anno 800 mila persone si suicidano e circa 20 milioni tentano il suicidio: per questo più di cento Paesi organizzano eventi culturali e conferenze in sinergia con l’Associazione Internazionale per la Prevenzione del Suicidio (Aisp). «Le persone esposte al suicidio sono connesse a una comunità, a reti composte da colleghi, familiari o compagni di scuola», si legge sul sito dedicato dell’Onu. «Ogni membro della comunità può avere un ruolo fondamentale nel sostenere coloro che si trovano in difficoltà. Anche solo un minuto di tempo, la disposizione all’ascolto e alla condivisione di una storia possono cambiare il destino di una persona che pianifica il suicidio, ma che molto spesso spera che qualcuno l’aiuti a fermarsi prima di compiere un gesto estremo». Infatti, persino il presidente di Exit Italia, Emilio Coveri, ammette che solo una minima parte di quelli che lo chiamano intraprende il viaggio per suicidarsi in Svizzera: tutti gli esseri umani amano la vita!
Quindi, il mondo celebra la Giornata mondiale per la prevenzione e la Consulta vuole legalizzazione del “suicidio assistito”...
Le virgolette, poi, sono d’obbligo, perché se avrete la bontà di leggere queste pagine vedrete che ci sono buoni motivi per dubitare che la parola “suicidio” sia appropriata. Infatti, cari amici, quando leggi inique, come la nostra sciagurata legge sulle Dat del 2017, aprono la porta all’eutanasia, la prima cosa che viene a essere calpestata è proprio quell’“autodeterminazione” della persona che tanto viene sbandierata per giustificare il processo in atto, teso a normalizzare ciò che è male.
Toni Brandi