Mentre le Brigate Rosse rapivano e uccidevano Aldo Moro, il Parlamento italiano approvava la legge 194 che legalizzò l’aborto “libero, subito e gratuito”, a richiesta. Come – purtroppo – accade anche oggi, il mondo cattolico e il mondo pro-life furono divisi al loro interno. E, come sempre accade davanti alle divisioni, alle incertezze e alle tiepidezze dei “buoni”, il male prevale.
C’è ancora chi discute se la 194 sia in “alcune parti” una buona legge: noi che non siamo “Azzeccagarbugli”, non ci proviamo neanche a metterci a ponderare i commi e gli incisi di quel testo normativo: giudichiamo l’albero dai frutti, giudichiamo la legge dalla sua portata effettiva. Quella legge ha consentito la moderna strage degli innocenti ancora in atto e ha distrutto la vita e la salute della stragrande maggioranza di donne che – quasi mai davvero libere di scegliere – sono state ingannate dalla propaganda abortista.
Oggi, però, consentitemi di non parlare dei danni fisici e psicologici che provoca l’aborto sulle madri, sugli altri familiari e sul personale sanitario. E neanche dei danni sociali, della denatalità, della banalizzazione di quello che è un vero e proprio omicidio nella testa di coloro che non ricevono la giusta e vera contro-informazione in materia. Oggi voglio rimettere al centro il bambino, la prima e più innocente e indifesa vittima di quella legge assassina. Il bambino, la cui vita e morte viene ignorata e fatta ignorare dalla cultura mortifera che si è fatta strada in questi quarant’anni. Il bambino che viene chiamato con termini scienti ci come “feto”, “embrione”, “zigote” (se non come “prodotto del concepimento” o “materiale abortivo”...) per farci dimenticare che si tratta proprio di un bambino. Un bambino piccolo, che non si vede e che non può gridare «Non uccidermi!» e al quale quindi noi e voi, cari Lettori, abbiamo il dovere di prestare la nostra voce con perseveranza e pazienza, senza timore del Leviatano che ci sta di fronte, finché questa legge assassina non verrà cancellata.
Toni Brandi