È di nuovo Natale: una festa laicizzata e consumistica ma che, per molti, costituisce ancora un’occasione per fermarsi e vivere del tempo di qualità con la propria famiglia e con le persone care.
E poi, alla fine dell’anno, siamo tutti portati a fare un bilancio della nostra situazione esistenziale e a interrogarci sul senso della vita e del tempo che scorre veloce e inesorabile.
A questo proposito, da quando esiste, l’uomo s’interroga sul “dopo” e sul senso della vita. Per alcuni non c’è niente: tutto finisce con l’ultimo respiro, o con quella che chia- mano “morte cerebrale”. Invece, per le persone di fede, ma non solo, “dopo” c’è “il tutto” e “il meglio”. E la fede e la ragione non hanno necessariamente bisogno di prove scientifiche dell’immortalità dell’anima, che sola dà un senso alla “fatica” della vita terrena.
Ma la scienza, anche in questo campo, comincia a interrogarsi su quella che appare una residua attività cerebrale non misurabile con l’elettroencefalogramma, dopo la morte conclamata.
Per indagare su questo aspetto, in questo numero di Notizie ProVita, offriamo ai nostri Lettori una serie di articoli sulle “esperienze di pre-morte” di innumerevoli persone che – dopo il coma, l’arresto cardiaco, la “morte cerebrale” o altre circostanze clinicamente estreme – sono “tornate” e raccontano quell’assaggio di Paradiso – o di Inferno – che hanno vissuto e che ha cambiato il loro modo di affrontare la vita.
Ed è positivo che si parli di questo tema, perché da un tale dibattito discendono conseguenze importanti quando poi si affronta il tema dell’eutanasia, del prelievo di organi a cuore battente e – in generale – della tutela della vita umana.
Intanto, chi sa che la «fede è sustanza di cose sperate e argomento de le non parventi» (Dante, Paradiso XXIV, v. 64; cfr. Eb 11,1) chiederà a Gesù Bambino che accresca nel mondo la fede, cioè la certezza dell’immortalità che si spera, la prova dell’Aldilà che non si vede… ma che forse qualcuno ha intravisto.
Buon Santo Natale!
Toni Brandi