14/12/2020 di Luca Marcolivio

A Bergamo Gori censura i manifesti contro la Ru486. Il racconto del consigliere Bianchi

La querelle sull’ultima campagna di Pro Vita & Famiglia ha raggiunto il massimo dello scontro ideologico a Bergamo. Ancora una volta la città orobica si conferma laboratorio per vere e proprie “prove tecniche” di radicalismo di massa, in cui amministrazione e media locali si ritrovano a braccetto con i collettivi lgbt, femministi e abortisti. Analogamente a quanto avvenuto a Milano nei giorni scorsi, anche a Bergamo i manifesti che miravano a sensibilizzare sulla pericolosità della pillola Ru486 sono stati fatti rimuovere per iniziativa di un consigliere regionale, cui il sindaco Giorgio Gori ha dato pieno ed esplicito appoggio. Tuttavia, come riferito a Pro Vita & Famiglia dal consigliere leghista Filippo Bianchi, l’opposizione non è disposta a rimanere passiva.

 

Filippo Bianchi, ancora una volta la giunta comunale bergamasca si è posta in prima linea a difesa delle femministe locali. Quanti manifesti sono stati rimossi?

«I manifesti affissi in città erano tre ma il sindaco li ha fatti togliere tutti. È stato un consigliere regionale della Lista Gori, Niccolò Carretta, che ne ha chiesto la rimozione, su impulso delle femministe di Non una di meno, spalleggiate dal Bergamo Pride. Sia i politici coinvolti in questa operazione, sia i giornali locali hanno condiviso i post di Non una di meno che censuravano la campagna di Pro Vita & Famiglia. Da parte mia, assieme a un gruppo di rappresentanti locali di centrodestra ho scritto un comunicato a sostegno della campagna contro la Ru486. Le femministe avevano infatti posto sui manifesti la scritta “manifesto sessista”. Neanche il tempo di diffondere il nostro comunicato che il sindaco, però, ha fatto rimuovere i manifesti».

Sulla base di quale principio o regolamento, il sindaco ha preso questa decisione?

«Gori si è appellato al regolamento comunale contro il sessismo e a difesa della dignità della donna, che però, a quanto pare, viene applicato solo quando fa comodo alla maggioranza. Qualche mese fa, noi dell’opposizione avevamo denunciato le immagini di Bergamo Sex ma in quell’occasione si guardarono bene dal censurare quei cartelli… Insomma, prendiamo atto che nel nostro Comune, c’è un vero e proprio sistema organizzato, in cui politica, associazionismo e stampa sono tutti coalizzati non solo nel censurare la difesa della vita e della donna ma addirittura il diritto di parola, informazione, espressione e opinione. Ormai siamo alla dittatura! Non c’è un solo giornale locale che pubblichi i nostri comunicati: è evidente, quindi, che sono tutti d’accordo. La cosa assurda è che questa amministrazione gode anche del sostegno della diocesi e delle parrocchie. L’anno scorso, il vescovo raccomandò di non votare candidati di centrodestra e andò alla veglia contro l’omotransfobia, tre giorni prima del Gay Pride e una settimana prima delle elezioni comunali. Appoggiano la sinistra, anche quando fa cose contrarie alla dottrina cattolica o al diritto naturale, fermo restando che non è necessario essere cattolici per essere a favore della vita».

Come mai il sindaco Gori ha così tanto a cuore la causa abortista?

«Se vogliamo dirla tutta, ricordo che, quando nel 2018 si candidò alla Presidenza di Regione Lombardia, Gori impostò la sua campagna elettorale [poi persa, ndr] proprio sull’aborto. Il suo programma elettorale in Lombardia sosteneva che per abortire “il percorso è molto difficoltoso e dal Governo Formigoni a quello Maroni nulla è cambiato”. Allora propose una campagna di indottrinamento che avrebbe coinvolto i consultori familiari e tutte le scuole con i cosiddetti corsi di educazione all’affettività e alla sessualità, oltre all’assunzione ad hoc di medici abortisti. Sulla presunta egemonia dei medici obiettori, era intervenuta persino Planned Parenthood che, nel 2012, aveva presentato un reclamo contro l’Italia presso il Consiglio d’Europa, in armonia con il futuro programma di Gori da candidato governatore della Lombardia».

Qual è l’insegnamento che si può trarre da questa vicenda?

«Ciò che viene più trascurato è proprio la difesa della donna e della vita umana innocente. Nessuno ne parla ma il punto è che, anche se una donna non vuole che suo figlio venga alla luce (ma in molti casi è il suo uomo a non volerlo), il bambino ha comunque diritto di vivere. Piuttosto lo si dà in adozione e si aprono dei percorsi alternativi. Sono migliaia le persone che vorrebbero adottare un figlio. Ogni anno si spendono 500 milioni per curare l’infertilità, spesso con modalità abominevoli e fuori da ogni etica, eppure si uccidono migliaia di bambini con l’aborto. E tutto questo, ormai, nemmeno più si può dirlo: viene censurato perché la verità fa male. La cosa positiva, in tutto ciò, è che nella nostra provincia si sta compattando un gruppo di politici locali pro life e pro family. Gli stessi che, assieme a me, hanno firmato il comunicato a difesa di Pro Vita & Famiglia: Orietta Pinessi, consigliere comunale a Ranica; Luisa Pecce, vicepresidente del Consiglio comunale di Bergamo; Michele Jacobelli, Sindaco di Palazzago; Matteo Baruffi, Consigliere comunale di Ranica; Santo Giuseppe Minetti, consigliere comunale di Ponteranica; Giovanni Bertino, consigliere comunale di Ranica; Enrico Facoetti, consigliere comunale di Bergamo e assessore di Dalmine. Il nostro impegno per la vita non si ferma: sabato 19 dicembre, alle 11, manifesteremo in piazza Vittorio Veneto, davanti al Municipio di Bergamo per la libertà d’espressione e contro la Ru486».

 

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