17/04/2025 di Giuliano Guzzo

Pro Life sempre più discriminati e in pericolo. Ecco perché

Nell’Occidente che si presenta come libero e democratico, e che fa un vanto della tolleranza – e della lotta alle discriminazioni -, c’è una particolare categoria di persone che, spesso nell’indifferenza dei media, è oggi sotto attacco: sono i pro life, coloro i quali si battono per la tutela della vita umana, senza se e senza ma. A ricordarci l’esistenza di questa nuova e sovente non solo verbale forma di ostilità, nelle ultime settimane ci hanno pensato due fatti di cronaca particolarmente gravi.

Si offre di parlare con le donne: trattata da criminale!

Il primo arriva dal Regno Unito ed è quello di un medico di origine italiana, la dottoressa Livia Tossici-Bolt, 64 anni, la quale lo scorso 4 aprile è stata condannata dal Tribunale di Bournemouth. Il motivo? La signora si trovava su un marciapiede pubblico vicino ad una struttura del British Pregnancy Advisory Service, una clinica per aborti, tenendo semplicemente un cartello con scritto: «Se vuoi, qui per parlare». Ebbene, semplicemente per questo gesto – del tutto innocuo – la dottoressa è stata accusata di aver violato una buffer zone, vale a dire una zona cuscinetto in cui sono vietati atti considerati come approvazione o disapprovazione riguardo ai servizi di aborto, inclusi conversazioni, preghiere o manifestazioni. Di qui la condanna a 20.000 sterline di spese processuali – che dovranno essere saldate per intero entro il 31 maggio, motivo per cui ADF International, ha lanciato una raccolta fondi in suo sostegno – a carico della donna, la quale, avvicinata da alcuni media, ha provato a spiegare le ragioni della sua difesa. «Non ero lì per esprimere le mie opinioni - ha dichiarato - ero lì per offrire una conversazione libera, consensuale, a chiunque volesse parlare con me, e non sugli argomenti che volevo trattare io. Ero lì per ascoltare». Ma nell’era dell’aborto come diritto assoluto, a quanto pare, anche solo prestare ascolto ad una donna che lo desidera («Se vuoi», meglio ribadirlo, recitava il cartello di Livia Tossici-Bolt) è fuorilegge. Ad ogni modo, nonostante alla dottoressa Tossici-Bolt è perfino, si potrebbe dire, andata bene.

Giornalista pro life aggredita in strada

Sì, perché il secondo di cronaca che riportiamo, a proposito della vita dura dei pro life in Occidente, è perfino più amaro. Ci stiamo riferendo a quello che è avvenuto ad una giovane giornalista pro life americana, Savannah Craven Antao, 23 anni, la quale – per conto del gruppo Live Action – stava facendo una intervista per strada, alcuni giorni fa, prima di essere fisicamente e brutalmente aggredita dalla trentenne Brianna J. Rivers. L’aggressione, della quale esiste anche un inequivocabile filmato che vi riportiamo qui di seguito, vede Rivers colpire ripetutamente al volto Antao, causandole ferite che hanno richiesto diversi punti di sutura. Come se non bastasse, dopo l'aggressione, la Rivers è fuggita, insultando il marito di Antao, il quale a sua volta stava appunto filmando l'intervista.​Successivamente, la donna autrice della violenza – forse consigliata da un buon avvocato - ha pubblicato un messaggio su Facebook in cui si scusava, sostenendo però di essere stata provocata e accusando Antao di diffondere una narrazione unilaterale sull’aborto; ha inoltre avviato una raccolta fondi su GoFundMe per coprire le spese legali, raccogliendo circa 8.700 dollari. L'11 aprile, la polizia di New York ha comunque arrestato Brianna J. Rivers con l'accusa di aggressione di secondo grado. La giornalista aggredita, Antao, ha espresso gratitudine per l'intervento delle autorità e ha condiviso il video dell'incidente sui social media. ​Tutto è bene quel che finisce bene, quindi? Non esattamente. C’è infatti da tenere presente come le aggressioni ai pro life e pro family avvengano spesso anche in Italia. E da anni.

Le violenza in Italia

Era l’ottobre 2014, per esempio, quando a don Matteo Graziola – reo d’essere sceso in piazza a manifestare con le Sentinelle in piedi – furono sottratti e distrutti effetti personali e il sacerdote fu pure raggiunto da numerosi lanci di uova e da percosse, fino a dover essere ricoverato Pronto soccorso. Stessa amara sorte - per una ferita alla mano con prognosi di 10 giorni – nel marzo 2021 per l’infermiere Giorgio Celsi, da anni militante pro life, dopo essere stato aggredito mentre aveva organizzato un presidio antiabortista fuori l'ospedale San Gerardo di Monza; in quell’occasione, era stato aggredito al collo da un manesco alfiere dell’abortismo anche il signor Virgilio Baroni, di anni 72. Che specie le femministe non facciano sconti ai presidi antiabortisti fuori dagli ospedali si era visto anche nel maggio 2013, quando una sessantina di persone inermi pregavano raccolte fuori dalla clinica Mangiagalli di Milano, prima di essere assalite da femministe, appunto, che – oltre al consueto ritornello di bestemmie – avevano scandito una minacciosa promessa («vi spacchiamo tutto»), dopo la quale si erano date al lancio di oggetti contro i manifestanti, in particolare bottiglie piene d’acqua ed accendini. 

Gli assalti alle associazioni

Più recentemente, la sede del Movimento per la Vita di Venezia, la notte tra il 7 e l’8 marzo 2022 fu imbrattata con un lancio di vernice da parte di ignoti i quali, affinché non ci fossero dubbi sul loro orientamento, hanno anche lasciato sull’asfalto la seguente scritta: «Aborto ed eutanasia liberi». Di certo, però, l’episodio più grave e sconvolgente degli ultimi anni contro i pro life è quello che si è consumato nel novembre 2023 e culminato, durante una manifestazione contro la violenza sulle donne, con il lancio di un ordigno incendiario nella sede di Pro Vita & Famiglia onlus di viale Manzoni a Roma. In quell’occasione, il portavoce della onlus, Jacopo Coghe, si era detto comprensibilmente scosso «da questo vero e proprio atto terroristico, volto a intimidirci». Ad ogni modo, quel caso non era certo isolato dato che, nel dicembre scorso, Pro Vita & Famiglia ha reso noto di aver visto colpita la propria sede ben 14 volte negli ultimi tre anni. Tantissime. Anzi, decisamente troppe, per un Paese, un’Europa e un’Occidente che, come già si diceva, si vanta di essere libero, democratico e pluralista. 

 

 

 

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