Da fine ottobre al 30 gennaio si è tenuta al Palazzo Reale di Milano la mostra “Corpus Domini. Dal corpo glorioso alle rovine dell'anima”, a cura di Francesca Alfano Miglietti. Una mostra prodotta dallo stesso Palazzo Reale, dal Comune di Milano, in collaborazione con Marsilio Arte e con Tenderstories.
Fin qui, direte, nulla di strano. Ma già la descrizione dell’evento è stata tanto misteriosa quanto premonitrice di ciò che in realtà la mostra è stata: “Il titolo – si leggeva - si riferisce alla scomparsa del ‘corpo vero’ a favore del ‘corpo dello spettacolo’: da un Corpo Glorioso - il corpo della consapevolezza, della ribellione, dell’alterità - al Corpo del Contemporaneo - da un lato nella sua declinazione di corpo della società dello spettacolo e dall’altro nelle sue forme più poetiche: il corpo dell’esodo, del lavoro, della moltitudine silenziosa.”
In realtà si è trattato di una serie di manichini e sculture dai riferimenti ambigui, per non dire blasfemi.
C’è stata, ad esempio, la rappresentazione scultorea di una specie di “Ultima cena”, su uno yacht, con gente nuda o seminuda, in evidente stato di ubriachezza che brinda gaudente, oppure un uomo che tenta un approccio con una ragazza in bikini. Si nota, poi, un manichino femminile senza vestiti che nell’acconciatura e nell’atteggiamento del viso e del corpo ricorda l’Ecce homo.
Ma non finisce qui, perché tra le “meraviglie” di questa esposizione si è potuto anche “ammirare” un mezzo busto che faceva capolino di traverso da una parete, con attaccata una flebo nel braccio. Una persona morente, dunque, che riprende, anch’essa, nell’aspetto e nell’atteggiamento, un altro precedente dell’arte sacra: “La pietà” di Michelangelo. Insomma, riferimenti velati, al mondo del sacro, ma neanche tanto e rivisitati in una chiave estremamente ambigua.
Infine, dulcis in fundo, non poteva mancare il riferimento genderless: la statua in gesso di un uomo “incinto”. Insomma un guazzabuglio di “opere d’arte” che sembravano avere più l’obiettivo di dissacrare e provocare che quello di fare arte. E viene da chiedersi come mai certe cose siano pure patrocinate da enti pubblici e che razza di senso artistico intendano esprimere se innanzitutto non manifestano il minimo senso del rispetto verso coloro per i quali il sacro (e la famiglia!) ha ancora un immenso valore.