Abby Johnson nel 2001 è una studente di psicologia che, attirata da un’insegna rosa shocking, si avvicina a uno stand di Planned Parenthood posto nella sua università per ingaggiare volontari per l’organizzazione. Caratterialmente predisposta all’ascolto e all’aiuto degli altri, Abby si incuriosisce dell’attività che Planned Parenthood intende proporre agli studenti, che le viene descritta come una sorta di consulenza per soccorrere le donne in crisi e renderle felici e libere di compiere la scelta migliore per il loro benessere e la salvaguardia dei loro diritti. La rappresentante di Planned Parenthood poi le spiega che la loro organizzazione è fondamentale per la salute delle donne in quanto fornisce contraccettivi gratis e la possibilità di abortire. A quel punto Abby resta perplessa perché, pur non avendo le idee chiare riguardo l’aborto, era cresciuta in una famiglia di principi tradizionali e non si sentiva a suo agio con l’argomento. Prontamente la donna le dice che l’obiettivo di Planned Parenthood è proprio di rendere l’aborto raro, che le donne devono conoscere le varie opzioni in modo da evitare gravidanze non desiderate e che se non fosse consentito l’aborto legale le povere donne morirebbero per gli aborti clandestini. Con un paio di sofismi il gioco è fatto. La Johnson accetta di fare la volontaria per promuovere i diritti delle donne, poi grazie alle sue capacità dialettiche e di persuasione, viene assunta come consulente e infine come direttrice della clinica Planned Parenthood di Bryan, Texas.
In ogni clinica Planned Parenthood vi sono due budget distinti: uno per gli aborti e uno per tutti gli altri servizi. C’è una quota per il budget degli aborti per cui bisogna effettuare ogni mese un tot di aborti per mantenere il personale nella clinica. In agosto 2009 Abby ha un meeting sul bilancio con il capoufficio. Guardando i conti pensa che ci sia un errore perché dal bilancio del family planning (servizi che non riguardano l’aborto) si poteva vedere che il numero di donne che avevano bisogno di assistenza era lo stesso dell’anno fiscale precedente, ma che il numero delle donne che richiedevano l’aborto era raddoppiato e resta basita. La missione di Planned Parenthood non era quella di ridurre il numero degli aborti, di renderli rari come le avevano sempre detto? Abby pensava che il numero degli aborti avrebbe dovuto, se non diminuire, almeno restare invariato. Quando espone al capo le sue perplessità sui dati, riceve questa risposta: “Abby, devi avere chiare le tue priorità. La tua priorità deve essere l’aborto, perché lì ci sono i soldi”.
Circa il 51% degli introiti viene dai servizi legati all’aborto. Malgrado la gravità della scoperta (contrastante con tutto ciò che le era stato inculcato negli 8 anni di lavoro per Planned Parenthood), Abby cerca di trovare giustificazioni e fa finta di niente. Il mese seguente arriva in clinica un dottore con l’intenzione di praticare un aborto con un metodo diverso dallo standard del Planned Parenthood, ovvero avvalendosi degli ultrasuoni per vedere cosa stesse facendo durante la procedura. Normalmente, infatti, quando viene effettuato un aborto, nessuno vede cosa sta succedendo nel grembo della madre. Il dottore infila la cannula (una sorta di tubo la cui larghezza viene scelta in base allo stadio della gravidanza perché deve poter contenere la testa del concepito) che è collegata ad un macchinario che aspira il bambino stritolandolo. Eseguire questa operazione senza gli ultrasuoni che consentono di vedere all’interno, tra l’altro, è pericoloso perché si può perforare l’utero. Abby allora chiede al suo capo come mai non si usa mai questa tecnica più sicura per le donne. Il capo le risponde che per utilizzare gli ultrasuoni occorrono 5 minuti in più di tempo e dal momento che l’organizzazione si prefissa di effettuare dai 25 ai 50 aborti in un giorno, non ci sono quei 5 minuti in più. Insomma, quel giorno il dottore fa un aborto con l’ausilio degli ultrasuoni e chiede ad Abby di assisterlo tenendo in mano la sonda degli ultrasuoni, pur non essendo lei né un medico, né un’infermiera. La donna ricoverata era incinta di 13 settimane e Abby per la prima volta si ritrova a guardare lo schermo che mostra sorprendentemente qualcosa che le sembra veramente un bambino.
Però poi subito le viene in mente il “memo” di cui dispongono tutti i consulenti dell’aborto dal titolo “Risposte alle domande difficili”. La prima domanda era “Il mio bambino lo sentirà?” (bambino, non embrione, massa di tessuto etc). Planned Parenthood sa bene che la risposta a quella domanda è cruciale e la risposta che dà è: “No. Il feto non ha sviluppo sensoriale fino alla ventottesima settimana”. Menzogna grossolana, visto che dalla tredicesima settimana il bambino sente addirittura la voce della madre. Ma le donne devono credere a quella menzogna altrimenti non abortirebbero così facilmente. Dunque, mentre guarda nervosa il bambino nello schermo, si ripete tra sé come un mantra che il feto non ha sviluppo sensoriale fino alla ventottesima settimana. Sennonché il dottore inserisce la cannula e improvvisamente il bambino fa un salto e comincia a muoversi velocemente nella direzione opposta della cannula, ma invano. Abby sapeva cos’era graficamente un aborto perché era stata un POC technician (POC sta per “product of conception”, prodotto del concepimento, perché la parola “baby” è bandita nelle cliniche abortiste) cioè la persona che ha il compito di svuotare il contenuto dell’aspiratore dopo l’aborto in un vassoio, assemblare i pezzetti di corpo e controllare che non ne manchi nessuno perché se qualche parte rimane nell’utero può provocare infezioni anche mortali.
Quel giorno però nel video vede un bambino che lotta freneticamente per vivere e che improvvisamente viene aspirato da un tubo e sparisce. Non voleva lasciare il suo lavoro perché guadagnava molto, come dice lei stessa, “ti pagano un sacco di soldi per farti rinunciare alla tua moralità”. Ma in quel momento prova un orrore inaudito e si rende conto che per otto anni aveva mentito e tradito la fiducia di migliaia e migliaia di donne disperate che venivano da lei per avere una risposta. Ma Planned Parenthood non offre realmente diverse opzioni alle donne, come motivazioni o modalità per tenere il bambino o darlo in adozione, ma solo una soluzione univoca e vantaggiosa per le sue finanze: l’aborto . Nel giro di un mese, il 6 ottobre 2009, Abby Johnson abbandona il suo incarico di direttrice della clinica Planned Parenthood di Bryan e aderisce alla Coalition for Life che in tutti quegli anni era sempre stata presente con i suoi volontari fuori dal cancello della clinica che pregavano e cercavano di attirare l’attenzione dei dipendenti della clinica e delle donne che si recavano ad abortire per offrire altre soluzioni. Infine, entra a far parte della Chiesa cattolica. Dopo una battaglia legale con Planned Parenthood, nel 2011 Abby è riuscita a pubblicare il libro “Unplanned” in cui racconta la sua storia .
dalla tesi di laurea di U. La Morgia, La cultura della morte, Luiss, Roma, pubblicato su Libertà e Persona