Le recenti indiscrezioni di Politico su quello che sarà il voto della Corte Suprema sull’aborto sembrerebbero aver generato l’ennesima macchina del fango nei confronti dei giudici conservatori. Eppure, le recenti leggi restrittive sull’aborto in molti Stati repubblicani sembrano davvero rispecchiare il sentire della popolazione. In altre parole, gli Stati Uniti sono davvero più pro-life che in passato: a dichiararlo a Pro Vita & Famiglia è Francesco Giubilei, scrittore e opinionista.
La stampa liberal e gli abortisti stanno attaccando “preventivamente” i giudici della Corte Suprema. C’è il rischio di condizionamento?
«Spero davvero che la Corte Suprema non si faccia influenzare dal dibattito mediatico e che prenda le sue decisioni non in base a pressioni politiche ma solo in base alla Costituzione americana e al sistema giuridico americano. Ora è in corso una campagna mediatica contro cinque membri (su nove) di nomina repubblicana, in passato però, quando alla Corte Suprema i giudici erano a maggioranza Democratica, nessuno diceva nulla, perché, giustamente, si rispettava l’indirizzo della Corte Suprema. Come al solito, dunque, è un dibattito basato su due pesi e due misure».
Da qualche anno il dibattito sull’aborto negli Usa è ancor più polarizzato. Quanto queste tendenze rispecchiano il sentire della popolazione?
«Come ben sappiamo, si tratta di temi divisivi. C’è una minoranza dal punto di vista numerico che però è sovrastimata e sovraesposta dal punto di vista mediatico. Una minoranza con una visione liberal della società, che vuole uno smantellamento dei valori sui temi etici ma che spesso non corrisponde al comune sentire della stragrande maggioranza delle persone. Anche in Italia, ad esempio, in questo momento, credo la maggioranza delle persone sia contraria a una pratica come l’utero in affitto: ritengo sia il sentire della maggioranza degli italiani che, però, paradossalmente, molto spesso non ha voce mediatica. Tutto questo vale anche per l’aborto negli Usa, ma la realtà smentisce le minoranze perché, soprattutto negli ultimi anni, vi è stata una forte rinascita dei movimenti pro-life e c’è una sensibilità che sta crescendo, anche tra i giovani».
Se sarà confermata, quanto inciderà la sentenza sull’autonomia dei singoli Stati americani?
«Si tratterebbe di una sentenza epocale. Essendo il sistema americano federale, quindi diverso dal nostro, non c’è un’unica legge che regoli l’aborto in tutti gli Stati Uniti ma vi sono leggi che rispondono ai singoli Stati. Emblematico è il caso del Texas, dove, in questa materia, la legge è diventata restrittiva. In altri Stati, sull’aborto e su altre materie, le leggi sono molto diverse. Il risultato va letto su due piani. Il primo è un piano culturale: la Corte Suprema affermerebbe che l’aborto è qualcosa che andrebbe contrastato e che, da un punto di vista ideologico, è un fatto negativo. Si tratta di una visione culturale su cui non ci si potrebbe che trovare d’accordo. Poi c’è un lato politico: gli Stati dovranno riconoscere questa sentenza, quindi riconoscere il fatto che le leggi a favore dell’aborto vanno in contrasto rispetto a quanto dice la Corte Suprema. Tutto ciò porterebbe ad un problema giurisprudenziale molto consistente».
Questo, eventualmente, a cosa porterà?
«La sentenza legittimerebbe a 360 gradi gli Stati Repubblicani o comunque dalla legislazione contraria all’aborto. Nessuno, a quel punto, potrà dire che, dal punto di vista giuridico, una decisione contraria all’aborto possa essere anticostituzionale, contraria ai diritti o contraria alla libertà, dal momento in cui c’è una sentenza della Corte Suprema che convalida quel punto di vista. Si tratterebbe, dunque, di una legittimazione importantissima sul piano giuridico per tutti quegli Stati che votino leggi in tal senso».