Le donne che hanno subito stupri in zone di guerra e che sono rimaste incinte devono poter accedere all’aborto.
Finché lo chiedono i vari esponenti della cultura della morte, dietro lo scudo dell’ONU e dei diritti umani, magari, la cosa non ci sorprende.
Ci fa male, invece, quando a chiederlo sono i leader di associazioni religiose cristiane, islamiche ed ebraiche americane riunite nella Religious Coalition for Reproductive Choice (RCRC) e nel NGO, Centre for Health and Gender Equity.
Ce ne informa Il Sussidiario.
“La legge americana sull’aborto infatti contiene un emendamento, il cosiddetto emendamento Helms, che vieta di impiegare soldi americani in territori non americani per l’interruzione di gravidanza, a meno che la vita della donna non sia in pericolo. Secondo quanto riporta il Washington Post, le associazioni, durante un convegno tenutosi nei giorni scorsi nella capitale americana, hanno sostenuto che l’aborto in caso di stupro non è da intendersi come “pianificazione familiare”, ma piuttosto un sostegno necessario per ogni donna vittima di stupro.”
Ovviamente, e per fortuna, i Vescovi nigeriani hanno detto la loro, per la vita e per la salute di quelle donne già tanto provate.
Senza voler giudicare chi, dopo aver vissuto un’esperienza del genere, si lasciasse convincere ad abortire, vorremmo infatti far presente che l’aborto è in se stesso una violenza che alla fine si aggiunge alla violenza subita da quelle poverette.
A questi sedicenti religiosi, vorremmo far leggere testimonianze come questa che abbiamo pubblicato noi, e le tante altre che si trovano sul sito Save the 1.
Redazione