Proponiamo ai nostri lettori questo articolo pubblicato sul mensile Notizie Pro Vita, che meritava di essere letto e merita di non essere dimenticato: una testimonianza dura e cruda della solitudine e della disperazione di una donna di fronte all’ aborto.
Anna mi viene inviata da un amico sacerdote. Il Giovedì Santo, nel giorno in cui avrebbe dovuto partorire, è andata a confessare il suo aborto volontario. È stata la liberazione di un peso di cui non poteva parlare con nessuno. Il marito l’aveva costretta facendola accompagnare da una persona estranea sia al consultorio sia all’ospedale. Anna racconta la sua sottomissione a quel marito che già in passato aveva provato a farla abortire. Ora però sua madre, che l’aveva aiutata in passato, era lontana e malata. Per Anna il non essere stata in grado in quel momento di scappare, di andare come nei sogni ricorrenti a sbattere i pugni nel portone della Chiesa, è una colpa. Chiusa nel suo dolore, chiusa nella rabbia verso il marito, pensa al suicidio, comincia a non mangiare.
Poi il racconto duro dello svolgimento dei colloqui (dove la persona estranea l’aveva zittita parlando lei con i sanitari) e dell’aborto. Per punirsi Anna non ha voluto alcun tipo di anestesia. Ha visto tutto, ha sentito tutto, ha vissuto il dolore fisico in diretta. Ha visto cosa le veniva aspirato, ha visto il colore del suo sangue e del sangue del suo piccolo…e piangendo continua a dire: “non è vero che non c’era niente, c’era mia figlia”. Il suo racconto è intercalato da nausea, vomito, pianto, disperazione. Urla “Ho ucciso mia figlia…sì lui me l’ha fatto fare, ma IO sono colpevole”. Ha cercato negli occhi del personale sanitario qualcuno che le chiedesse il perché della scelta della non anestesia, per poter dire che quel bimbo lei lo voleva ma era sotto ricatto morale ed economico del marito. Abituata ai tradimenti, con sensi d’inferiorità per la sua precarietà fisica, era lì in sala operatoria: voleva parlare ma taceva, la guardavano, le davano della pazza masochista, ma non le chiedevano il perché: non si è fermata la macchina infernale. Dopo 20 minuti d’insopportabile dolore sembrava che tutto fosse finito. Ma “C’è ancora della roba” afferma il dottore: e il rumore dell’aspiratore ricomincia. Anna esce dalla sala operatoria e nel corridoio inveisce contro suo marito: “Mi hai fatto squartare come un maiale!”
Lentamente nel tempo Anna recupera le energie, guarda i suoi 3 figli e cerca Chiara che non c’è ma che sogna ogni notte. Prende coraggio e distanze dal marito. Gli parla duramente e francamente. Il marito le dice che lui si era andato a confessare da qualcuno che poteva togliere la scomunica subito. Non come lei che si era scelta uno che non lo poteva fare. Di nuovo trattata da stupida, da inferiore, “da carne da macello”. La psicoterapia si accompagna a un percorso spirituale. Comincia a dire chiaro e tondo quello che pensa sull’aborto a tutti, fino a quando incontra un’amica di circa 40 anni, alla prima gravidanza, che vuole abortire. Anna le sta vicino, cerca di farle capire l’importanza di quella creatura e dell’immenso dolore dopo un aborto. L’amica sparisce e Anna non pensa più che sia per colpa sua se qualcuno la lascia… ha detto e fatto ciò che era giusto. Qualche mese dopo incontra l’amica che appoggiando la mano di Anna sulla sua pancia le dice: “Ti presento Chiara!”. A quel punto piangono insieme. L’amica per la gioia di aver accettato la sua creatura. Anna perché ha trasformato il suo immenso dolore silenzioso e ancora vivo in motivo di vita per sé, per la memoria della sua Chiara e per la Chiara che riuscirà a vedere la luce.
Cinzia Baccaglini
Tratto da NotizieProVita n.12 – Febbraio 2013 – Pag. 18