Alle femministe che oggi, 28 settembre, scendono in piazza per chiedere “aborto legale, aborto sicuro”, vorremmo ricordare che perfino un editoriale pubblicato un paio di anni fa nel Bollettino dell’Organizzazione Mondiale della Sanità ) riconosce che sono state gonfiate le cifre di aborti pericolosi per la salute della donna nei paesi in cui l’aborto non era o non è legale, e sono stati sottovalutati gli aborti pericolosi e letali nei paesi dove l’aborto a richiesta è legale.
La verità è che “aborto legale” NON è sinonimo di “aborto sicuro”.
La legalizzazione non rende l’aborto più sicuro, lo rende solo più comune.
La legalizzazione dell’aborto non serve a ridurre la mortalità materna e a proteggere la vita e la salute delle donne.
La mortalità materna è minore nei paesi dove l’aborto è illegale o fortemente limitato: lo dicono le statistiche ufficiali delle Nazioni Unite, rielaborate da Angela Lanfranchi, Ian Gentles, e Elizabeth Ring-Cassidy, in Complications: Abortion’s Impact on Women, l’analisi di oltre 650 studi internazionali peer-reviewed.
In Polonia, Irlanda, Cile, El Salvador, Nicaragua, Egitto, Uganda, Bangladesh, Afghanistan, Indonesia, Messico, Sri Lanka si è registrato un significativo miglioramento della salute materna e infantile rispetto ai paesi limitrofi dove l’aborto è legale e su richiesta.
L’aborto legale non serve alla salute delle donne: conseguenze psichiche
L’aborto volontario ha conseguenze psichiche devastanti per la madre (e per il padre del bambino, e per i parenti in qualche modo coinvolti e persino per il personale sanitario coinvolto, che soffre della stessa sindrome da stress post traumatico che si riscontra nei reduci dei conflitti armati: si veda il libro di Rachel MacNair , Perpetration-Induced Traumatic Stress: The Psychological Consequences of Killing). Basta leggere – nell’abbondante letteratura scientifica in materia – “50 Domande e Risposte sul Post Aborto”, scritto dalla psicologa clinica e di comunità, nonché psicoterapeuta con specializzazione sistemico-relazionale, dott.ssa Cinzia Baccaglini). Oppure il recentissimo articolo di Costanza Miriano su La Croce.
La sindrome post aborto – ha detto la Baccaglini – potrebbe essere alla radice di tanti episodi di cronaca pazzeschi in cui le madri (o i padri) uccidono i figlioletti o uccidono se stesse. Essa infatti potrebbe covare nel profondo della psiche anche delle donne più ciniche, convinte di aver dovuto abortire per mille valide ragioni. E, anche dopo molti anni, può esplodere in tutta la sua pericolosità…
Le conseguenze fisiche dell’aborto volontario
Conseguenze immediate
La Relazione sulla 194 che ogni anno fa il Ministero della Salute, qui in Italia offre dati parziali ed estremamente vaghi, perché non tutte le Regioni sono attrezzate per fornire numeri precisi sulla questione e perché le complicazioni post aborto vengono spesso registrate negli ospedali e nei pronto-soccorsi sotto altra voce. Comunque, ogni anno ci sono centinaia di donne che soffrono di emorragie, infezioni e “altro” (scandalosa questa vaghezza: come si può affrontare e risolvere un problema se non se ne conoscono i contorni?)
Conseguenze a lungo termine
Le conseguenze a lungo termine, riguardano soprattutto i rischi relativi a gravidanze successive. Si riscontrano sovente problemi di sterilità, aborti spontanei, parti prematuri, gestosi, placenta previa, perdite ematiche, necessità di isterectomia post-partum, gravidanze extrauterine, endometriosi, cancro al seno. Del link ABC, cioè il legame tra l’aborto e il breast cancer, il cancro al seno, non parla mai nessuno e non se ne parlerà neanche il prossimo mese di ottobre, “Il mese rosa per la prevenzione del cancro al seno”, che dovrebbe essere un mese contro l’aborto.
Infatti, ci sono prove sempre più stringenti del link Abortion Breast Cancer, che la medicina politicamente corretta continua pervicacemente a voler ignorare, con grave detrimento per la salute delle donne.
Una regista canadese, Punam Kumar Gill, che si dichiara pro-choice (quindi a favore dell’aborto), si è mostrata desiderosa di scoprire la verità e ha girato un documentario: Hush
Durante l’indagine, si è resa conto che le organizzazioni scientifiche che avrebbero dovuto fornirle dati e risposte alle sue domande si rifiutavano di trattare l’argomento. Addirittura è stata gentilmente allontanata dagli agenti di sicurezza del National Cancer Institute fuori dall’Istituto. Ha invece parlato con diversi medici, tra cui Joel Brind, Angela Lanfranchi e Priscilla Coleman, e con diverse donne che hanno avuto complicazioni fisiche e psicologiche dopo l’aborto.
Donne che muoiono di aborto legale
Nel silenzio imbarazzato dei media di regime, centinaia di donne muoiono di aborto legale, oggi, in tutto il mondo.
Considerando anche il fatto che molto spesso i decessi sono rubricati sotto altra voce, in Italia, dalla relazione Ministeriale, si evince che nel 2014 c’è stata una donna morta in Campania e una in Piemonte; dai giornali ci risulta morta di aborto legale Gabriella Cipolletta, 19 anni a Napoli, nel 2016. Pochi giorni fa c’è stata la condanna di alcuni medici a Palermo per la morte di un’altra donna, Maria Grazia Li Vigni: embolia polmonare. A leggere i vari giornali s’è fatta molta fatica a capire che la donna è morta per un aborto “terapeutico” alla 33ª settimana di gravidanza.... E poi, Keisha Marie, 23 anni, una studentessa di ingegneria di 19 anni di Hyderabad (India), una giovane sposa di 23 anni in Giappone, Aisha Chithira, 32 anni in Inghilterra, e negli Stati Uniti c’è la lunga lista delle vittime della PPFA (Planned Parenthood Federation of America). Un po’ di nomi? Cree Erwin, 24 anni, Tonya Reaves, 24 anni, e Lakisha Wilson, Karnamaya Mongar, Jennifer Morbelli …. se volete leggere una lunga, lunghissima e penosissima lista di centinaia di nomi consultate il sito www.safeandlegal.com.
Anche il Centers for Disease Control and Prevention, ente governativo statunitense, in era obamiana (quando dell’aborto non si parlava mai male...) ammette che dalla legalizzazione a oggi sono quasi 500 le donne morte per aborto, in USA.
Oggi, poi, i rischi per le donne, con l’aborto farmacologico si moltiplicano: secondo il New England Journal of Medicine la mortalità per aborto in pillole è circa dieci volte superiore a quella dell’aborto chirurgico a parità di periodo di gestazione. Le cause sono soprattutto le infezioni da Clostrium Sordellii, da Clostridium Perfrigens, da Streptococco, e poi le emorragie, rottura tubarica, porpora trombotica trombocitopenica.
L’allarme viene sollevato anche da una femminista laica come la biologa Renate Klein in “RU486: Misconceptions, Myths and Morals” (Fraintendimenti, miti e morale), che continua a sostenere che chi ha a cuore la salute delle donne non può appoggiare questa pratica dell’aborto chimico in buona fede.
Eppure la maggior parte delle femministe, con i radicali, spingono per la liberalizzazione della RU486.
Eppure oggi, 28 settembre, le femministe chiedono la liberalizzazione totale dell’aborto in tutto il mondo.
Evidentemente questi “femminicidi” non interessano a nessuno.
Francesca Romana Poleggi
PS: In occasione della Giornata mondiale dell’aborto legale che oggi celebrano le femministe non contrarie a questi femminicidi (ma che non è una “Giornata Mondiale” dell’ONU), ProVita Onlus ha rilasciato un comunicato stampa che potete leggere qui ed è stato rilanciato, ad esempio, da In Terris, da Tempi, da Libertà & Persona, da Formiche.net, da Voci del Verbo, dal sito della Marcia per la Vita e da 4ItalyNews.
Inoltre, il presidente di ProVita Toni Brandi è stato intervistato sul tema da Radio Padania (da min 61.09.32) e da Radio Kolbe.
Merita anche d’esser letto l’articolo di Paola Belletti su Aleteia.
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