Il progetto di legge per depenalizzare l‘aborto in Cile sta seguendo il suo normale iter e attualmente, dopo essere stato approvato dalla Camera, è esaminato dalla Commissione Salute del Senato.
Abbiamo seguito molto il caso cileno, come è possibile leggere in molti nostri articoli passati. La presidente socialista Michelle Bachelet, ormai al termine del suo mandato (in autunno si terranno nuove elezioni presidenziali), ha dichiarato che l’introduzione dell’aborto è una delle sue maggiori priorità e tenterà tutto il possibile per far approvare la sua legge prima della nuova legislatura.
Alcuni giorni fa, sempre nell’ambito della discussione del progetto, la maggioranza dei senatori della Commissione Salute (compresa un’esponente della Democrazia Cristiana, occorre sottolinearlo) ha votato contro la proposta di obbligare il medico ad assistere e proteggere il bambino che eventualmente sopravviva ad una aborto.
In pratica, in questo modo, si è legittimato l’infanticidio. L’intenzione omicida di quanti approvano la depenalizzazione dell’aborto – seppure nelle “sole” tre fattispecie di stupro, pericolo per la vita della mamma e grave malattia del bimbo – è ormai evidentissima. Il nascituro indesiderato o imperfetto deve morire. Punto. E se per caso dovesse sopravvivere al massacro (come ad esempio è accaduto alla nostra amica Gianna Jessen), non va né curato, né assistito, ma lasciato morire come – anzi, peggio – di un animale.
Il tutto in nome della libertà e dell’autodeterminazione delle donne, del progresso civile, della (presunta) lotta agli aborti clandestini e altre considerazioni di questo genere. Però non prendiamoci in giro: si tratta di scuse e di ipocrisie che qualsiasi persona in buona fede e minimamente lucida può smascherare in pochissimo tempo.
E se questo accade con i bambini sopravvissuti all’aborto, perché non potrebbe accadere (come del resto già avviene in alcuni Paesi) con il malato ritenuto incurabile o con l’anziano che ormai non è più utile né produttivo?
Redazione
Fonte: El Demócrata
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