Delle “Pre-persone” abbiamo già parlato qui e qui. Ma torniamo volentieri sul bellissimo racconto breve di P.Dick, grazie al contributo di un nostro affezionato lettore: l’ aborto, segno di degenerazione della specie umana.
Se in Italia la legge sull’aborto veniva introdotta nel 1978, negli Stati Uniti l’aborto era già stato legalizzato nel gennaio del 1973.
Con la rapidità che contraddistingue i grandi scrittori, già nel 1974 Philip Dick pubblicava un racconto che avrebbe dovuto far riflettere gli uomini del tempo e che dovrebbe continuare a far riflettere ancora oggi, anzi oggi più che mai.
Il racconto si intitola The Pre-Persons. La traduzione è immediata: Le Pre-Persone. Per le mie citazioni mi avvarrò della traduzione di Nello Giugliano.
Il racconto si apre con la scena dell’inquietante presenza del camion degli aborti che gira per ogni zona della contea per caricare figli indesiderati di cui i genitori si sono stancati e che hanno deciso di far eliminare. Ogni bambino è munito di una “patente di desiderabilità”, una dichiarazione formale che attesta la desiderabilità che i genitori nutrono nei loro confronti e che li definisce perciò persone gradite.
I bambini che non sono desiderati vengono portati in una County Facility, una delle cliniche di aborti, e poi vengono annientati, o per meglio dire vengono “messi a dormire”, come si esprime una donna nelle prime pagine, usando un termine più morbido (come noi che usiamo il termine interruzione di gravidanza al posto di quello più veritiero di soppressione di una vita). E’ però significativo il fatto che Philip Dick, mettendo in bocca al suo personaggio un’espressione apparentemente dolce, richiami coscientemente un termine proprio della mafia, cosa che non sfugge al protagonista, il figlio della donna menzionata ora.
Quei genitori che si sbarazzano dei figli, scrive Philip Dick, “sfruttano un’estensione della vecchia legge sull’aborto secondo la quale potevano uccidere un figlio indesiderato prima che nascesse [...] ed era legale perché il bambino non ancora nato non era umano. Era una pre-persona”. Ora si è solamente spostata in avanti l’età in cui l’anima entra nel corpo, che è il discrimine per permettere gli aborti. Nel racconto il limite stabilito dalla legge per permettere gli aborti è di dodici anni; ma come fa notare il ragazzo protagonista, perché mai dodici anni dovrebbe essere un limite il cui superamento garantisce la salvezza? Dopo tutto, se si tratta di desiderabilità, perché mai un genitore può sbarazzarsi del suo feto e un altro genitore non potrebbe sbarazzarsi di un suo figlio rompiscatole? La società, che deve usare sempre dei mascheramenti, ha stabilito quell’età asserendo che l’anima viene infusa nell’uomo a dodici anni, l’età in cui vi è la capacità di eseguire operazioni algebriche e di matematica complessa; ma il protagonista fa notare che lui non ha sentito alcuna differenza passando i dodici anni. Lui è sempre stato lo stesso. “Ma io so di non essere diverso da come ero due anni fa, da bambino; se, come sostiene la legge, adesso ho un’anima, ce l’avevo anche allora, oppure l’anima non esiste”.
Il ragazzo comprende bene che la vita dell’uomo è un continuum, che non si può stabilire un momento preciso in cui un individuo passa dall’essere una supposta non persona all’essere una persona. Se la società non accetta un dato di natura, cioè che l’essere umano è tale dal suo concepimento fino alla morte naturale, la società avrà sempre il potere di stabilire arbitrariamente che un uomo è una persona e un altro non lo è, stabilendo lui, il potere, una linea di demarcazione spostabile a piacimento.
Philip Dick lo fa notare bene: “Eppure il feto era stato considerato, almeno per un certo periodo, una persona anche dal punto di vista giuridico; ma poi la folla abortista aveva deciso che neanche a sette mesi si può parlare di essere umano, quindi il feto poteva essere eliminato, secondo la legge, da un medico autorizzato. E, un bel giorno, era toccata ai neonati... sono come dei vegetali, incapaci di focalizzare lo sguardo, non capiscono nulla, non parlano... così la lobby abortista aveva perorato la sua causa, vincendo, stabilendo che un neonato è solo un feto espulso dall’utero materno accidentalmente o attraverso un processo organico. Ma, anche allora, dove andava tracciata la linea di demarcazione? Quando il bambino sorride per la prima volta? Quando dice le sue prime parole o riesce a prendere da solo il suo giocattolo preferito?”. Come è evidente, si tratta di un totale arbitrio da parte del potere.
La Chiesa è osteggiata in ogni modo perché la Chiesa, difendendo l’uomo dal suo concepimento fino alla morte, mette il bastone tra le ruote al potere. “La Chiesa da tempo – dall’inizio, in effetti – andava sostenendo che già lo zigote, e l’embrione che ne deriva, è una forma di vita sacra come tutte le altre sulla Terra. Avevano capito cosa sarebbe scaturito da asserzioni come Ora l’anima entra nel corpo, o, in termini attuali: Ora si può parlare di una persona che gode dei diritti e della protezione legale come tutte le altre”.
Arbitrio, potere, egoismo, dittatura... queste sarebbero le parole da usare nei riguardi della cultura abortista contro cui Philip Dick si scaglia mettendo il suo pensiero in bocca ai suoi personaggi. “Guarda a cosa ci hanno portato questo progetto di aborto postparto e la legge che c’era prima, per la quale i bambini non ancora nati non avevano diritti... venivano rimossi come tumori. Se un feto può essere ucciso senza processo, allora perché non facciamo fuori anche i piccoli dopo la nascita? Quello che secondo me entrambi i casi hanno in comune è che si tratta di esseri indifesi; l’organismo che viene eliminato non ha nessuna possibilità, né la capacità, di proteggersi”.
E in un altro passaggio Dick continua idealmente il ragionamento: “Ma perché quanto più è indifesa una creatura tanto più per alcuni è facile farla fuori? Come un bimbo nel ventre materno; l’aborto originale, gli esseri pre-parto, le pre-persone, come vengono chiamate adesso. Come potrebbero difendersi? Chi sprecherebbe una parola per loro? Tutte quelle vite, un centinaio al giorno per ogni dottore... indifese, silenziose e poi semplicemente morte. Ecco perché lo fanno, perché possono; si basano sul loro potere. Così un esserino che non ha mai visto la luce del sole viene aspirato via in meno di due minuti”.
Ma chi ha permesso tutto questo se non le stesse donne? “E’ un certo tipo di donna a promuovere tutto ciò. Un tempo l’avrebbero definita femmina castrante. Forse allora l’espressione era esatta, solo che queste persone, queste donne fredde e dure, non desiderano solo... be’, loro vogliono annientare l’uomo nella sua interezza, eliminarci tutti: non si tratta solo di privarci della parte che ci rende uomini”.
E continua idealmente in un altro passaggio: “Dove sono andati a finire gli istinti materni? Un tempo le madri proteggevano soprattutto ciò che era piccolo, debole e indifeso. E’ colpa della nostra società competitiva. La sopravvivenza del più forte. Non del più idoneo, solo di chi ha il potere. E non sono certo intenzionati a cederlo alle generazioni future: si tratta del vecchio potente e malvagio contro il nuovo nobile e inerme”. Questa forma di potere è il potere del forte che si esercita sul debole, il potere dell’aguzzino che inventa un pretesto per scagliarsi sull’agnello, il potere del colpevole impuro che ha il terrore della purezza dell’innocente e che per questo deve eliminare. “Questa è una partita truccata dove il potere, quelli che occupano i posti chiave nell’economia e nella politica, tengono lontani i più giovani – li uccidono, se serve. In questo paese domina l’odio dei grandi per i piccoli, l’odio e la paura”. E questo odio ha costruito una specie perduta, così la definisce Philip Dick, che si è persa “da quando abbiamo consegnato le redini a persone in grado di uccidere i bambini non ancora nati – in altre parole, le creature viventi più indifese”.
Amombogì