La legalizzazione dell’aborto è stata spacciata per una conquista della donna.
Nessuna femminista che si rispetti osa mettere in dubbio che la “libera scelta” sul se e quando procreare sia per l’ “empowerment” delle donne, cioè favorisca la loro affermazione personale e sociale.
Lasciando da parte – questa volta – le conseguenze fisiche e psichiche dell’aborto che subiscono le donne (e che sono negate o sottaciute dagli stessi che dicono di aver a cuore il loro benessere e la loro affermazione), ragioniamo sul perché l’aborto legale NUOCE all’affermazione personale e sociale delle donne: ragioni suffragate dall’evidenza di quanto accade nei Paesi dove ormai l’aborto è legale da 40 anni.
L’aborto non ha fatto altro che discriminare le donne.
La metà dei membri della razza umana possono crescere una nuova vita all’interno del proprio corpo. Questa è una peculiarità esclusiva femminile. Gli uomini possono solo stare a guardare (o contemplare, come sarebbe più giusto). Tuttavia, piuttosto che celebrare questo potere unico, questa straordinaria prerogativa, gli abortisti e il femminismo radicale hanno fatto del tutto per sminuirne l’importanza. Per “liberare” le donne dalla loro biologia si elimina il potere creativo delle donne.
“Senza una laurea, senza un lavoro di prestigio, la vita sarà insopportabile. La donna deve fare le stesse cose che fa l’uomo, anche in campo lavorativo. I figli sono un intralcio”. Quindi l’aborto serve alla carriera. Questa mentalità è ormai passata: la pressione sociale sulle donne chiede loro di sacrificare matrimonio e famiglia per il lavoro. Per le giovani la vita domestica è una disgrazia. Salvo poi andare ad analizzare le top manager di successo e scoprire che sono insoddisfatte e depresse e rimpiangono di non aver avuto figli...
L’aborto aiuta gli uomini a sfruttare le donne, così come la pillola anticoncezionale e la contraccezione: il sesso si è trasformato in una attività ricreativa. Uomini e donne si usano a vicenda solo a scopo di piacere. Quando i contraccettivi falliscono o non sono utilizzati, chi rimane col “problema” della gravidanza inattesa è la donna. La società maschilista le offre l’aborto. Lei ci sta male, l’uomo se ne lava le mani.
Di fronte alla difficoltà di una gravidanza non pianificata, alle donne in difficoltà economica la società offre l’aborto. Comoda soluzione (sulla pelle della donna e ovviamente del bambino) che deresponsabilizza anche la società: è molto più semplice un aborto e via (magari con pillola) piuttosto che risolvere problemi di occupazione, povertà, abitazioni popolari... La donna che abortisce non guadagna un posto di lavoro per pagare le bollette. Né un sussidio sociale in caso di indigenza grave. Né una casa, se non ha dove vivere.
I problemi restano – tutti – con in più un bambino morto sulla coscienza con cui prima o poi si deve fare i conti. Anzi si fa del tutto per negare il problema e far credere quel bambino sia stato un “niente”...
Quindi, a riflettere bene, le donne sono più discriminate in una società dove l’aborto è legalizzato: sono indotte – se non costrette – a rinunciare al naturale completamento della loro femminilità.
Redazione
Fonte: Live Action
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