L’adozione internazionale apre a nuovi mondi e moltiplica l’amore.
E, nonostante un iter burocratico non sempre facile, o forse proprio per questo motivo, l’adozione porta la coppia a fare un percorso di maturazione molto importante.
Stando ai dati diffusi dal CAI – Commissione per le Adozioni Internazionali (autorità centrale italiana per le adozioni straniere, con sede in Roma, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri), in Italia le adozioni internazionali sono state 2216 nel 2015 e 39.330, complessivamente, negli ultimi 12 anni.
Sulla base di questi dati, in Europa l’Italia è il primo paese per numero di minori stranieri adottati e il secondo al mondo dopo gli USA (fonte: L’Italia in controtendenza rispetto al calo delle adozioni internazionali di tutti gli altri Paesi di accoglienza, 16/05/2016 – CAI).
Ma che cos’è l’adozione internazionale?
Per rispondere dobbiamo distinguere due aspetti: quello burocratico-procedurale e quello psicologico-formativo, emozionale ed affettivo della coppia.
Sotto il profilo burocratico-procedurale è l’adozione di un bambino straniero fatta nel suo paese, di fronte a quelle autorità e a quelle leggi.
Sotto il profilo psicologico-formativo la si potrebbe definire la scelta libera e responsabile di una coppia di rendersi disponibile a diventare padre e madre di un bambino straniero, che ha bisogno di una famiglia in cui crescere, sentirsi accolto ed amato.
Procedure e costi dell’adozione internazionale
I requisiti per l’adozione internazionale sono gli stessi dell’adozione nazionale (art. 6 legge 184/83 come modificata dalla legge 149/2001). Sintetizzando:
- l’adozione è consentita a coniugi uniti in matrimonio da almeno tre anni, senza che nel frattempo sia intervenuta alcuna separazione personale neppure di fatto;
- l’età deve superare di almeno 18 e di non più di 45 anni l’età del minore.
Tuttavia il Paese estero può pretendere diverse altre attestazioni circa lo stato di salute degli adottanti, circa la loro condizione economica (spesso è richiesta la casa di proprietà) e circa eventuali pendenze giudiziarie (il casellario giudiziario).
La procedura prevede innanzitutto che la coppia presenti dichiarazione di disponibilità al tribunale per i minorenni del distretto di residenza, al fine di ottenere dallo stesso una dichiarazione di idoneità all’adozione. I coniugi devono, quindi, sottoporsi ad accertamenti medici ed a colloqui di ore con psicologo ed assistente sociale, volti ad accertarne e valutarne le potenzialità genitoriali. Al termine dell’indagine una relazione è inviata al tribunale, che convoca i coniugi.
Il giudice minorile ha, infine, la responsabilità di rilasciare il “decreto di idoneità”.
In possesso del decreto, la coppia deve iniziare, entro un anno dal suo rilascio, la procedura vera e propria di adozione internazionale, dando “mandato” ad uno degli enti accreditati dalla Commissioni per le adozioni internazionali. L’ente seguirà la coppia svolgendo tutte le pratiche, a volte molto complesse, col Paese straniero e accompagnando la coppia fino all’incontro col minore e all’autorizzazione degli organi competenti. Infine, il CAI autorizza l’ingresso del minore in Italia e la sua permanenza. La procedura si conclude, trascorso l’ eventuale periodo di affidamento preadottivo, con l’ordine, da parte del Tribunale per i minori, di trascrizione del provvedimento di adozione nei registri dello stato civile.
I tempi dell’espletamento dell’intero iter sono lunghi (almeno 3 anni) e i costi importanti (decine di migliaia di euro). Questi ultimi si suddividono tra quelli sostenuti in Italia per le fasi preliminari (spese per i documenti, spese per informazione e formazione della coppia, individuazione del Paese estero, assistenza nella preparazione e nell’inoltro dei documenti, assistenza prima e dopo l’adozione) e quelli sostenuti all’estero (abbinamento del bambino ed espletamento dell’iter legale, nonché viaggio, vitto e alloggio nel periodo di permanenza).
Il percorso di maturazione della coppia
La decisione di adottare matura, il più delle volte, nella sofferta speranza di veder realizzato un desiderio di genitorialità. I coniugi hanno da riempire un vuoto che è come un lutto. Intraprendono, quindi, un percorso che spesso si rivela una peregrinazione. Questa non è solo quella che li condurrà spesso dall’altro capo del mondo, ma è ancor prima una peregrinazione interiore. I genitori adottanti diventano infatti, lungo questo percorso, «protagonisti attivi nel servizio della carità verso coloro che hanno più bisogno di noi. È la gioia del dare che è più grande di quella dell’avere…» (Osvaldo Rinaldi su Zenit del 4-11-2013).
Dall’altra parte incontreranno un altro vuoto, più terribile ancora: bambini che portano in sé un’esperienza di abbandono, destinata comunque a segnarli, bambini che hanno subito uno strappo dentro, la perdita della mamma e del papà biologico. Potrebbero essere bambini sottoposti a violenze da parte dei genitori o degli adulti che in qualche modo si sono occupati di loro. Potrebbero essere bambini abusati. In ogni caso, saranno bambini che non hanno conosciuto abbracci, coccole, bambini soli e indifesi, a volte denutriti, in balia di grandi che o non li hanno amati o non li hanno potuti amare.
Il bambino abbandonato presenta quasi sempre un ritardo nello sviluppo psico-fisico e, quanto meno, non è un bambino facile. Sembra quasi che s’impieghi a sfidare la pretesa genitoriale dei genitori adottivi. Sembra che ne voglia forzare la resistenza e la determinazione, quasi a provarne l’affidabilità. Ha certamente un bisogno tremendo di affetto, lui che si trova ad un certo punto davanti degli estranei, che parlano finanche una lingua diversa. Vuole essere confermato, rassicurato, accettato, malgrado tutto.
I novelli genitori hanno, perciò, bisogno di grande motivazione, grande affiatamento di coppia e malleabilità. Non dovranno avere fretta che tutto funzioni alla perfezione, ma la pazienza di chi si troverà a dare sempre più di quello che aveva messo in conto. Racconta Donatella Ceralli, madre adottiva del Ciai (Centro italiano aiuti all’infanzia): «Questi bambini mettono a dura prova i genitori: mollano calci, provocano, scappano di casa. Vogliono misurare il grado d’affetto di mamma e papà, essere certi che, per quanto cattivi, non verranno abbandonati mai più. Commettono piccoli furti che vivono come risarcimento del rapimento di cui si sentono vittime: all’inizio la loro percezione è quella di essere stati rubati alla famiglia naturale. A scuola, poi, non sono certo i primi della classe, la sfiducia in se stessi li frena in tutto» (Antonella Trentin, Perché sempre più bambini adottati vengono restituiti?, Donna Moderna, settembre 2003).
Se però avranno la tenacia di arrivare fino in fondo, si ritroveranno a essere genitori al di là del ruolo e dell’immaginazione: mamma e papà del cuore, oltre la biologia.
Clemente Sparaco