02/01/2019

Adozioni gay e utero in affitto: repetita  iuvant

“Tutto il mondo è paese”, recita il proverbio, ed è una verità applicabile a molti fenomeni: in questo caso la riferiamo alle adozioni gay. Vediamo in che senso. L’Alta Corte di Singapore ha riconosciuto a un omosessuale il “diritto” di adottare un bambino ottenuto da una procedura di utero in affitto negli Usa, pagata profumatamente dall’uomo, un medico di 46 anni. «Un caso senza precedenti nella città-Stato ultraconservatrice in termini di diritti della comunità gay»; così commenta AskaNewsper sottolineare che forse anche lì la giurisprudenza sta facendo il suo corso verso un’apertura ai “nuovi diritti”. Ma non è questo che ci interessa.

Il presidente del tribunale, Sundaresh Menon, nel riportare il contenuto della sentenza, ha menzionato il fantomatico “interesse del bambino” che sarebbe tutelato dall’adozione, fermo restando il giudizio negativo sul modo in cui l’uomo ha ottenuto il figlio, che però non è oggetto della decisione. Ecco, è proprio su questo punto che oggi, ahinoi, il mondo è paese. Come sta accadendo in Italia e com’è già avvenuto in molti altri Stati, così ora anche in estremo oriente, l’interesse del minore è usato, più o meno consapevolmente, quale grimaldello per aprire le porte alle unioni gay prima, e all’utero in affitto poi.

Per l’ennesima volta, ribadiamo le due risposte della ragione a queste acrobazie giuridiche (che incarnano, tuttavia, un errore molto comune):

  • L’interesse del bambino è sommamente contrario all’adozione gay. Anche volendo guardare solo all’interesse del minore – condizione necessaria ma non sufficiente per definire la regolamentazione di questo fenomeno – è precisamente questo interesse che si oppone all’affidamento di un bambino a una o due persone omosessuali. La famiglia non la fa (solo) l’amore, bensì l’unione tra l’uomo e la donna, unica condizione per un amore fecondo e aperto alla vita, oltre che foriera, per i figli, dell’unico modello genitoriale stabilito dalla natura: padre e madre.
  • Il bambino non può essere lo strumento della legittimazione di pratiche intrinsecamente cattive. Dicevamo che l’interesse del minore è condizione necessaria ma non sufficiente per disciplinare adeguatamente il fenomeno “adozioni gay/utero in affitto”. Come, per esempio, la morte dei rapinatori nei conflitti a fuoco non è un argomento per legalizzare le rapine, così il parto di un bambino da “maternità surrogata” in vista di un’adozione gay non vale a legittimare né l’uno né l’altra. Al contrario, proprio la gravità di un simile atto, che, mettendo al mondo un essere umano contro la legge naturale e positiva, lo “pianifica” orfano, dovrebbe indurre le istituzioni a essere ancora più inflessibili contro chi osa commettere un tale crimine. In tal caso, non potendo fare ritorno alla madre biologica, il bambino dovrà essere dato in adozione a una famiglia tout-court: uomo e donna.

La gravità di queste considerazioni fa risaltare ancor più la responsabilità di quanti, accecati da un desiderio in sé legittimo (diventare genitori), non riescono più a vedere i disastri che un simile disordine comporta.

Vincenzo Gubitosi

Fonte: AskaNews

Questo articolo e tutte le attività di Pro Vita & Famiglia Onlus sono possibili solo grazie all'aiuto di chi ha a cuore la Vita, la Famiglia e la sana Educazione dei giovani. Per favore sostieni la nostra missione: fai ora una donazione a Pro Vita & Famiglia Onlus tramite Carta o Paypal oppure con bonifico bancario o bollettino postale. Aiutaci anche con il tuo 5 per mille: nella dichiarazione dei redditi firma e scrivi il codice fiscale 94040860226.