Le adozioni sono un tema caro al Partito Democratico.
A testimonianza di questa affermazione vi è una notizia passata perlopiù sotto traccia: il 17 marzo, nella sala ISMA del Senato, i senatori del PD hanno promosso un convegno dal titolo: “Continuità degli affetti. Istruzione per l’uso della legge 173/2015“.
Presenti a questo incontro sulle adozioni anche Monica Cirinnà e Sergio Lo Giudice. Oltre a loro: Francesca Puglisi, prima firmataria della legge, Micaela Campana, responsabile nazionale Pd al Welfare e Terzo settore; i capigruppo Pd delle Commissioni Giustizia di Camera e Senato Walter Verini e Giuseppe Lumia; Donella Mattesini capogruppo Pd in Commissione per l’infanzia e l’adolescenza; Luigi Fadiga, Garante per l’Infanzia e l’adolescenza della Regione Emilia-Romagna; Carla Forcolin de La Gabbianella e altri Animali Onlus e l’avvocato Lucrezia Mollica.
La legge 173/2015 è entrata in vigore il 13 novembre 2015, quindi circa quattro mesi fa. Presenta alcune modifiche rispetto alla legge 4 maggio 1983, n. 184 e, in sostanza, intende salvaguardare i “legami affettivi significativi e il rapporto stabile e duraturo“ con la famiglia (che è una sola, ndr) affidataria. In sostanza è una legge che – si legge sul sito dell’Unione Famiglie Adottive Italiane – “[...] farà da volano a quel necessario processo della riforma del sistema adottivo che le famiglie chiedono a gran voce“.
Naturalmente, siamo i primi a dirlo, il sistema delle adozioni deve essere rivisto: sono troppo lunghi i tempi di attesa per i bambini che hanno bisogno di trovare una famiglia affidataria e, allo stesso tempo, sono troppe le coppie che si arrendono – o vengono costrette ad arrendersi – soprattutto per via delle complicazioni burocratiche. Tuttavia questo non significa affatto aprire le porte alle adozioni da parte di coppie omogenitoriali, di coppie conviventi o anche di persone single: il bene del bambino e il diritto a crescere con una madre e un padre devono venire prima degli egoistici desideri degli adulti.
Eppure, a ben vedere, non sorprende affatto l’impegno che il PD sta profondendo in materia di adozioni, che va di pari passo con il tentativo di dare il vita al mariage pour tous. La legge del 1983, infatti, presenta paletti ben precisi, oggi considerati da molti come ‘sorpassati’. E’ sufficiente leggere l’articolo 6 per rendersene conto: “6. 1. L’adozione è consentita a coniugi uniti in matrimonio da almeno tre anni. Tra i coniugi non deve sussistere e non deve avere avuto luogo negli ultimi tre anni separazione personale neppure di fatto.
2. I coniugi devono essere affettivamente idonei e capaci di educare, istruire e mantenere i minori che intendano adottare.
3. L’età degli adottanti deve superare di almeno diciotto e di non più di quarantacinque anni l’età dell’adottando (... Nichi Vendola, come farà?, ndr).
4. Il requisito della stabilità del rapporto di cui al comma 1 può ritenersi realizzato anche quando i coniugi abbiano convissuto in modo stabile e continuativo prima del matrimonio per un periodo di tre anni, nel caso in cui il tribunale per i minorenni accerti la continuità e la stabilità della convivenza, avuto riguardo a tutte le circostanze del caso concreto”.
Insomma, la legge n. 184/83 non lascia margine a dubbi: adozione consentita solo per le coppie sposate (si legga questa testimonianza). Il che in Italia significa dire: solo le coppie eterosessuali possono adottare dei bambini. Di certo troppo poco per il PD e per gli altri fautori del ‘progresso’. I figli sono un diritto, dicono, anche se poi parlano di “interesse del minore”.
E allora, se da un lato si cerca di far passare la stepchild adoption, dall’altra si lavora affinché piano piano passino – in maniera astuta, sottile – due concetti di capitale importanza: in primis la supremazia delle “relazioni socio-affettive”, dato non oggettivo e quindi non verificabile; in seconda istanza, il discrimine temporale (si parla infatti di “legame stabile e duraturo”) quale aspetto da tenere in considerazione nella valutazione.
Insomma, con questa legge targata Partito Democratico i giudici vengono ancora una volta investiti di un potere interpretativo che va ben oltre le loro competenze e quello che non è passato dalla porta, scritto nero su bianco, passerà dalla finestra: in fondo, se due persone vogliono un bambino, lo desiderano, ne hanno diritto, che importa che non sono sposati o che, magari, sono dello stesso sesso?
Si sa: fatta la legge, trovato l’inganno.
Teresa Moro