Alla fine l’Aifa ha dato il via libera alla somministrazione della triptorelina come soluzione per la cosiddetta disforia di genere nei preadolescenti. Con delibera del 25 febbraio (pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 2 marzo), l’Aifa rende noto l’«inserimento del medicinale triptorelina nell’elenco dei medicinali erogabili a totale carico del Servizio sanitario nazionale, ai sensi della legge 23 dicembre 1996, n. 648, per l’impiego in casi selezionati in cui la pubertà sia incongruente con l’identità di genere (disforia di genere), con diagnosi confermata da una equipe multidisciplinare e specialistica e in cui l’assistenza psicologica, psicoterapeutica e psichiatrica non sia risolutiva». Ne avevamo già parlato quando, incredibilmente, nell’estate 2018, il Comitato Nazionale per la Bioetica (Cnb) aveva dato parere positivo all’impiego della molecola per i casi in questione.
Ora, potremmo seguire l’esempio di altre realtà associative che hanno subito messo in discussione la sicurezza della triptorelina, come Scienza e Vita e il Centro Studi Livatino, le quali in un comunicato congiunto hanno ribadito che il «farmaco viene immesso nell’elenco del Ssn in carenza di studi clinici e di follow-up a lungo termine; è alto il rischio, adoperando la Trp per bloccare la pubertà fino a 4 anni circa – dai 12 ai 16 anni d’età – di indurre farmacologicamente un disallineamento fra lo sviluppo fisico e quello cognitivo del minore». Potremmo seguire questo esempio e in parte lo facciamo, nel senso che è sicuramente pertinente e necessario rilevare questi pericoli sul piano applicativo. Il problema vero, però, è a monte, perché prima ancora di contestare l’applicazione di una terapia pericolosa, bisogna capire se la condizione sulla quale si intende intervenire con detta terapia, è correttamente inquadrata da un punto di vista non solo clinico, ma innanzitutto filosofico, per non dire, ancora più brutalmente, razionale.
A proposito della “disforia di genere” (com’è stato ribattezzato il disturbo dell’identità di genere nel Dsm-5 dell’American Psychiatric Association e nell’Icd-11 dell’Oms) assistiamo all’approccio più evidentemente irrazionale, filosoficamente abnorme e – se ne dovrebbe dedurre – clinicamente inattendibile che mai. È molto semplice: alla luce del nuovo approccio, se da un lato la disforia di genere «non è un disturbo mentale», dall’altro presenta «significative esigenze di assistenza sanitaria». Ci si dimostri che prestare assistenza sanitaria per una condizione che non è patologica bensì fisiologica è coerente con il principio di non contraddizione.
Michelle Cretella, presidente dell’American College of Pediatricians, dichiarò a tal proposito a LifeSiteNews che «“normale” è ciò che adempie alla sua funzione. Una delle funzioni del cervello è percepire correttamente la realtà fisica, inclusa la natura del proprio corpo. I pensieri in accordo con la realtà fisica sono normali; i pensieri contrari alla realtà sono anormali». E ancora, qui da noi, Silvana De Mari scrive: «La mente e il corpo devono sempre essere in equilibrio e in armonia. Il corpo è reale. La mente deve accettare la realtà e amarla. Dove non c’è armonia tra mente e corpo, cioè tra mente e realtà, va curata la mente. Non va alterato il corpo fino a quando non diventa come la mente malata lo vuole. Il concetto che vede corpo e mente slegati esiste all’interno di una patologia, quella dissociativa» (Notizie Pro Vita, marzo 2019, n. 72, p. 8). Eppure, ad affermare simili ovvietà non c’è quasi più nessuno, e quei pochi che continuano a farlo si espongono sempre più al rischio di querele e persecuzioni mediatiche.
Per tornare alla triptorelina, in conclusione, prima di rilevare le criticità del “rimedio”, ci dobbiamo chiedere se il male è stato veramente individuato. Perché si vuole permettere il blocco della pubertà a quei preadolescenti sessualmente confusi? Perché, se ricorrono le condizioni, questi devono poter “invertire la rotta” e cambiare sponda. È evidentemente questo il dramma da risolvere prima di tutto. Perciò sì, al bando la triptorelina (pagata con i soldi di tutti), ma sopra ogni cosa: al bando l’ideologia del gender.
Vincenzo Gubitosi