Alessio cura il sito www.amorepurogesu.com, dove pubblica testimonianze di persone che, come lui, hanno cambiato vita; e gestisce la pagina Facebook www.facebook.com/amorepurogesu, tramite la quale incoraggia le persone che vogliono abbandonare lo stile di vita omosessuale.
Potresti presentarti molto brevemente ai nostri Lettori?
«Mi chiamo Alessio e ho 32 anni. Vivo a Catania, ma a breve ripartirò per Parigi dove sono stato ammesso a una scuola di arabo. Nella vita predico il Vangelo, scrivo e traduco per la pagina degli ex Lgbt, e ho dei lavori stagionali a scuola come assistente alla comunicazione e mediatore della Lingua dei segni italiana. Impartisco lezioni di italiano, francese e inglese per arrotondare e durante la settimana mi occupo dei bambini più poveri della città, come i Rom».
In questo numero ospitiamo la tua testimonianza perché ti definisci un "ex gay". Ma andiamo con ordine: quando hai iniziato a pensare di essere gay e come mai?
«Un mio compagno di quartiere più grande di me, un giorno, per prendermi in giro, mi ha chiamato “finocchio”. Avevo circa 6 anni. Io non sapevo nemmeno cosa significasse, ma è come se quella parola fosse stata una maledizione; mi ha trafitto il cuore. È stato il mio nomignolo nel quartiere fino all’adolescenza, quando si arrabbiavano con me. Quella parola ha alimentato un complesso di inferiorità come maschio: io, per qualche motivo, ero finocchio… diverso da loro. Col tempo giocavo quasi esclusivamente con le bambine e soffrivo nel vedere le donne dominare e denigrare gli uomini. Alle elementari e alle medie venivo preso spesso in giro dalle mie compagne perché cominciavo ad avere degli atteggiamenti femminili o perché avevo l’acne. Naturalmente, passando molto tempo con le ragazze, imitavo i loro atteggiamenti. Più mi sentivo diverso dai ragazzi, più li desideravo. All’inizio era un semplice bisogno di amicizia, cameratismo, affetto, poi crescendo questo desiderio si è sessualizzato sempre di più. Alle medie mi piacevano ancora le ragazze; alle superiori i desideri cominciarono a diventare ambivalenti. Ora desideravo che i maschi mi toccassero, mi baciassero, mi dessero attenzioni “particolari”… A 17 anni mi sono innamorato di una ragazza, alla quale ho chiesto di fidanzarci: mi ha detto di no. Da quel momento mi sono iscritto in un sito di incontri gay e ho cominciato a definirmi gay. Mi ero arreso. Ero stanco di soffrire a motivo delle donne».
In tutto questo, che ruolo ha rivestito la tua famiglia d'origine?
«La mia famiglia mi è sempre stata accanto, ma non mi sono mai aperto nel raccontare loro i miei sentimenti e le mie lotte. Quando mi hanno scoperto, un giorno, insieme a un ragazzo, è stata una tragedia, ma in qualche settimana tutto è ritornato “normale”. I miei ragazzi venivano a stare da noi e io andavo da loro. La mia famiglia, come si dice, mi aveva “accettato”. Non è mai bello per dei genitori sapere che il proprio figlio è gay, perché mamma e papà sentono sempre di essersi persi qualcosa, di avere fallito in qualcosa. Quando il figlio non si identifica con il padre o la figlia con la madre, c’è spesso anche un problema nella relazione triadica (madre-padre-figlio/a). “Perché mio figlio non vuole essere come me?”, si chiede sempre un padre. Le ferite e le delusioni sono da tutte e due le parti».
Com'è stato vivere "da gay"? Ti sentivi discriminato, o "fuori posto", oppure hai trovato subito un gruppo cui fare riferimento?
«Vivere da gay per me è stato facile. Le sole persone a cui lo nascondevo erano i miei compagni di squadra (ho praticato la pallanuoto a livello agonistico per dieci anni), ma per il resto lo sapevano quasi tutti: famiglia, amici, colleghi dell’università. Non mi sono mai sentito discriminato dai non gay e ho facilmente trovato dei gruppi di amici omosessuali, locali e zone gay a Catania. Anzi, gli unici insulti e le vessazioni che ricevevo sulla mia scelta sessuale venivano da parte degli stessi gay: gli Lgbt quando litigano si attaccano proprio sulla loro sessualità. Anche oggi quando un gay intende offendermi, mi lancia improperi del lessico Lgbt. Quindi, gli omosessuali usano la stessa omosessualità per offendere; questo perché in fondo sanno di vivere un disagio e gli piace ferirsi a vicenda sulla loro sessualità per esorcizzare il dolore».
Per quanti anni hai creduto a quella che oggi sostieni essere una delle più grandi bugie perpetrate a danno delle persone, ossia il fatto che "si nasce gay"?
«Per dieci anni ho creduto a questa menzogna. Seppure ricordassi di eventi in cui le ragazze mi piacevano e mi attiravano anche corporalmente (prima dei 18 anni più o meno), mi faceva comodo credere di essere nato gay. Succede anche perché più si va con gli uomini e meno ti piacciono le donne. Anche il tuo cervello viene trasformato, gli impulsi che generano il piacere. Più abitui il tuo corpo a fare certe cose, meno vorrà farne delle altre. Il motivo principale per cui credevo di essere nato gay era perché non ero in grado di affrontare me stesso, il perdono, un grande dolore e anche il peccato. Era più facile credere che da sempre fossi gay, ma in realtà non era così. Agli omosessuali fa comodo pensare questo per non far fronte a dei traumi, a delle ferite. “Accettarsi gay” è arrendersi. Sfidare una identità che contraddice la stessa fisiologia del nostro corpo e l’inclinazione naturale della nostra anima è arduo. Solo con Dio possiamo farcela, perché Lui è la fonte dell’Amore».
Che cosa ti ha portato ad aprire gli occhi sulla tua condizione?
«Da qualche anno avevo cominciato a leggere la Bibbia, a pregare e a frequentare una comunità evangelica. Non sono stati degli uomini a cambiarmi, né una chiesa. Per tre anni ho addirittura frequentato una chiesa pro-gay a Catania, in cui tutti sapevano della mia omosessualità, del mio stile di vita e in cui la responsabile mi aveva anche detto che “la mia omosessualità era preziosa per Dio” (questo va in totale contrasto con gli insegnamenti della Bibbia e di Gesù). Mi volevo illudere di poter seguire il Signore lasciando tutto com’era. Un giorno Gesù mi ha parlato; mi trovavo a Parigi, dove vivevo. Mi ha detto che non mi aveva creato gay e che i desideri che sentivo erano frutto di un dolore dell’anima, che andavo con gli uomini perché volevo rubare la loro mascolinità, che il sesso era un tentativo di riconnettermi al mondo maschile e alla figura paterna. Le sue parole, che ho sentito palpabili nel mio cuore, sono state amare al mio palato, ma una volta ingoiate erano dolci come il miele. Sono scoppiato a piangere perché ho sentito che mi diceva tutto questo perché mi amava, perché voleva salvarmi e non voleva che andassi all’inferno».
Quanto e come si è concretizzato il percorso di riappropriazione della tua eterosessualità sopita?
«Tutto è diventato reale non attraverso la mente, ma attraverso lo spirito. Ricevere Gesù nel cuore mi ha dato la forza di trasformare la mia mente. Le attrazioni omosessuali non sono andate via subito, e ancora oggi ritornano delle volte perché sono come cicatrici che ogni tanto bruciano. Il passato vuole riaffiorare ma mi ricordo chi sono veramente, cioè il modo in cui Dio mi ha creato, maschio, e come vuole perciò che io viva, da figlio suo e suo discepolo. Oggi non mi definisco eterosessuale perché credo che le sole identità possibili nell’ambito della sessualità siano “maschio” e “femmina”. Essere maschio non è una mera questione sessuale, così come l’essere donna. Essere donna non è soltanto avere una cervice, un seno o dei capelli lunghi. Una donna è più di questo, è un modo di essere in modo innato, inimitabile, una sensibilità e una delicatezza istintive, che neppure il trans più ricco del mondo potrà mai emulare, perché donne o uomini si è per elezione divina, non è qualcosa che si può comprare. Il mondo ha inventato le etichette “eterosessuale” e “omosessuale”. Per Dio esistono l’uomo e la donna. Un uomo sano nella sua mascolinità non desidera unirsi a un uomo (il che è pure biologicamente impossibile), e lo stesso vale per la donna».
Oggi presti il tuo volto e il tuo tempo nella raccolta di testimonianze di persone "ex gay". Come mai hai deciso di impegnarti socialmente in questa battaglia?
«Nel 2013 avevo tentato il suicidio. Vivendo 10 anni nell’omosessualità, col senno di poi, ho realizzato di come vivevo in un mondo di persone ferite e distrutte emotivamente. Molti miei amici gay erano stati abusati nell’infanzia, molti maschi gay non avevano rapporti sani di affetto e stima coi loro padri, alcune mie amiche lesbiche erano state picchiate dai padri o umiliate da uomini nell’infanzia e nella pubertà, molti erano cresciuti con genitori divorziati. Quando ho ricevuto lo Spirito Santo ho capito che l’omosessualità è una grande ferita e un grande inganno allo stesso tempo. Volevo proclamare al mondo che c’era una via d’uscita. Un mio caro amico gay un giorno mi ha confessato che nella sua infanzia veniva abusato dal suo fratello maggiore e avendo ricevuto quell’imprinting sessuale lo reiterava nel sesso omosessuale, immedesimandosi nell’abusatore (le dinamiche gay attivo-passivo derivano in gran parte da questo). Gli ho detto che Gesù poteva guarirlo da questo trauma e piangeva a dirotto. Il giorno dopo è ritornato ad assecondare l’omosessualità e a credere che era nato gay (nonostante avesse anche avuto una fidanzata): è la risposta a un trauma che viene congelato o soffocato dalla mente per non affrontare il dolore. Da cinque anni, quindi, raccogliamo e traduciamo testimonianze cristiane di ex Lgbt per dare una luce di speranza a quanti ammettono onestamente di vivere un disagio esistenziale».
Come valuti la proposta di legge Zan-Scalfarotto-Boldrini?
«Credo fermamente nelle profezie bibliche e mi tengo lontano dalla politica poiché Cesare un giorno sarà giudicato; io continuo la mia testimonianza come dovere cristiano (“Andate in tutto il mondo a predicare il Vangelo!”, ha detto Gesù). So che deve arrivare anche questo. In quasi la metà del mondo i cristiani vengono perseguitati, imprigionati ed uccisi. Nei paesi musulmani la scusa è che è illegale dire e credere che Gesù è il figlio di Dio, in Cina perché è vietato praticare una religione che non sia quella del Partito, in Corea del Nord perché l’ateismo è la religione di Stato. Anche questo è un pretesto per cominciare, anche sul piano fisico, la vessazione e la persecuzione dei figli di Dio in Occidente, con la scusa che è vietato dire che l’omosessualità è una abominazione. Chiaramente, non sono d’accordo. I promotori di questa legge sono dei burattini nelle mani di Satana e il loro dio è il denaro: i politici che si piegano ai desideri frenetici, incontrollati e perversi del popolo, non sono dei padri ma dei patrigni della nazione. Se la popolazione tra dieci anni, per esempio, esigesse la legalizzazione della pedofilia, loro che vogliono piacere agli uomini e non a Dio, asseconderebbero probabilmente i loro desideri. Questo è il frutto di un popolo, di un mondo che ha perso i valori assoluti e si è venduto al relativismo: tutto è lecito se ci va di farlo, va’ dove ti porta il cuore».
In conclusione, se avessi modo di pronunciare un'unica frase ai giovani di oggi, che cosa diresti loro?
«La felicità non si guadagna assecondando tutti i nostri desideri. Il mondo è un brutto posto perché ognuno persegue, a tutti i costi, i propri istinti e le proprie passioni: questo si chiama egoismo (l’aborto ne è l’apice: “Voglio fare sesso ma non voglio prendermi nessuna responsabilità per continuare a farlo”). Invece, ciò che rende l’uomo virtuoso è rinunciare a tanti di quei pensieri e atti che sentiamo spontanei e naturali perché vengono dalla natura peccaminosa innata dell’uomo e della donna. L’uomo sarà felice quando rinnegherà se stesso per ricevere dentro di sé la natura di Cristo, quella natura che non ti farà più essere schiavo di te stesso e del peccato. Cristo ti dà la libertà di non vivere più avviluppato dai vizi. Attraverso il suo sacrificio sulla croce ti lava dal peccato e attraverso la sua resurrezione ti dà un nuovo cuore, nobilitando la tua esistenza e dandoti la vita eterna. Dio odia l’omosessualità, ma vuole salvare gli omosessuali. Tu e l’omosessualità non siete la stessa cosa. Oggi, spogliati di ogni etichetta e ritorna al Padre d’Amore».
Giulia Tanel