21/05/2021 di Luca Marcolivio

Altro che assistenti sociali super partes. Ecco come appoggiano il ddl Zan

Anche il Consiglio Nazionale degli Ordini degli Assistenti Sociali (CNOAS) ha fatto endorsment per il ddl Zan. E lo fa con un comunicato carico di pathos e di empatia (o presunta tale). L’occasione è stata la Giornata internazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia. Non poteva mancare il riferimento al lockdown e al distanziamento che hanno impedito a molte persone lgbt di esprimere la loro affettività.

Si parte subito dal racconto strappalacrime di Davide, presunta vittima di un insegnante omofobo, da lui appena denunciato: «Fuori posto: i miei capelli, i miei ragazzi, le mie idee, il mio aspetto fisico, era tutto così sbagliato. Di queste violenze quotidiane porto ancora le cicatrici». Pronto il commento del CNOAS: «Sentiamo quanto è ancora lunga la strada per l’affermazione del principio di uguaglianza e di non discriminazione, cardine della nostra vita democratica».

Segue l’inevitabile rivendicazione dei «diritti» e il cruccio per la «disuguaglianza nell’esigibilità» degli stessi. «Diritto all’affermazione di se stessi, senza pregiudizi religiosi, etnici, sessuali o di appartenenza di genere. E dovrebbe preoccuparci perché se i diritti non sono per tutti, non saranno mai per nessuno. È nell’uguaglianza che si rispecchia e si irrobustisce la democrazia, non nella paura e non nella negazione delle diversità». Parole molto generiche e decontestualizzate, che possono prestarsi a qualunque interpretazione. Di quali diritti stiamo parlando? Quelli ad essere rispettati nella propria dignità di essere umano o c’è qualcosa di più che la legge vigente non contempla? E in cosa consisterebbe «l’affermazione di se stessi» rivendicata in questo contesto? Nel diritto alla genitorialità o forse nell’identità di genere?

«Distanziamento sociale e isolamento – prosegue la nota del CNOAS – hanno reso particolarmente difficile la vita di molti giovani che sono stati rifiutati dalla loro famiglia, che semplicemente non hanno ancora rivelato il proprio orientamento sessuale, che sono vittime di violenza fisica o psicologica». Gli assistenti sociali affermano di essere tra le categorie che più hanno avuto a che fare con i giovani lgbt vittime delle «misure restrittive» che hanno limitato di sostegno da parte di «amici, centri LGBTI e #ONG». Sono proprio gli assistenti sociali ad essere andati in soccorso di questi ragazzi «che ogni giorno devono affrontare quella parte della società che li rifiuta, che li perseguita, che non li riconosce, che li avverte sbagliati». Curioso, però, che le restrizioni e il distanziamento sociale tanto deplorati sono il prodotto di governi appoggiati dalle forze politiche più gay friendly di sempre. Pura e semplice distrazione o cortocircuito ideologico?

Una girandola di premesse, il cui sbocco è altamente prevedibile. «Aggressioni, minacce, insulti, emarginazione, odio e violenza fisica, dentro e fuori le mura: sono queste le ragioni per le quali serve approvare una legge che estende la tutela da ogni forma di aggressione, verbale, fisica e psicologica». Serve una legge, dunque, e quella legge – manco a farlo apposta – è proprio quella attualmente in discussione al Senato.

«Non escludiamo che il disegno di #LeggeZan che divide il Parlamento e il Paese possa essere corretto, ma metterlo a rischio significa ignorare chi da quella violenza, non è stato ancora a sufficienza tutelato. Come Davide, Malika, Chiara…», conclude la nota del CNOAS.

Una scelta di campo, dunque, da parte di una categoria di pubblici ufficiali, che, in quanto tali, dovrebbero rappresentare tutti i cittadini e non soltanto i cittadini lgbt. Un grosso autogol, oltretutto, se si considera che lo scandalo degli affidi a Bibbiano e in altri comuni è un caso tutt’altro che chiuso e che le ferite nei cuori dei bambini e dei genitori coinvolti sono ancora aperti.

Posto che il ddl Zan non riguarda soltanto il sanzionamento dei comportamenti omofobici ma presenta una robusta impalcatura ideologico-educativa, la categoria degli assistenti sociali aveva un’occasione d’oro per smentire un eventuale conflitto d’interessi in merito agli affidi di minori a coppie omosessuali. Schierandosi in modo così esplicito, quell’occasione è andata perduta.


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