04/05/2021 di Giuliano Guzzo

Altro che ddl Zan. Ecco come l’identità di genere viene bocciata dagli italiani

L’identità di genere, vale a dire la possibilità di scegliere liberamente e anche senza iter di riassegnazione la propria identità – maschile, femminile o di altro tipo – non convince affatto gli italiani, i cui favorevoli sono, quando va bene, tre su dieci. Un’esigua minoranza, quindi. A rivelarlo, un recentissimo sondaggio promosso da varie associazioni femministe (Se Non Ora Quando, RadFem Italia, Udi, e altre) e di cui dà notizia oggi la scrittrice e giornalista Marina Terragni. Nello specifico, almeno tre sono i nodi interessanti emersi da questa rilevazione demoscopica.

La prima riguarda l’atteggiamento degli italiani rispetto alla partecipazione di atlete trans agli sport femminili: il 56% degli interpellati è contrario, il 14% non sa solo il 30% è favorevole. La scelta del sesso a prescindere da quello di nascita, con una semplice autodichiarazione, convince invece appena il 20% dei cittadini, con quasi il 70% (68, per la precisione) che si dichiara convintamente contrario. Musica non diversa, anzi, per i farmaci che bloccano lo sviluppo di bambine che si sentono «dell’altro sesso»: solo il 13% degli italiani è favorevole.

Ora, perché sono importanti queste rilevazioni? Per essenzialmente un paio di motivi. Il primo è che questo sondaggio dimostra che la pubblicità degli smalti di Fedez e la grancassa mediatica – almeno sul tema del transgenderismo – non ha ancora condizionato in maniera così profonda il pensiero degli italiani, che restano convinti dell’esistenza di una differenza tra maschile e femminile non annullabile a colpi di chirurgia o ormoni.

In secondo luogo, questo sondaggio è importante perché evidenzia che non c’è consenso sull’articolo di apertura del ddl Zan. Sì, perché al primo articolo della norma – precisamente alla lettera d) del primo comma – si definisce l’identità di genere come «identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione».

Come noto, un battagliero gruppo di femministe, con la già citata Terragni in testa, ritiene tale passaggio demolitivo dell’identità femminile, ridotta a fumosa percezione «di sé». Considerando le perplessità sul punto son sposate pure da politici dem insospettabili di omofobia - da Anna Paola Concia ad Aurelio Mancuso, già presidente nazionale di Arcigay –, più di un osservatore politico ha ipotizzato che in Parlamento la legge potesse essere rivista. Ebbene, non c’è dubbio che con questo sondaggio si fa un passo in avanti in questa direzione.

Detto ciò, vi sono altre due considerazioni che è doveroso effettuare. La prima riguarda il fatto che l’identità di genere è sì un passaggio senza dubbio aberrante, ma non è certo il solo di una iniziativa legislativa che, nel suo insieme, resta totalmente disastrosa, liberticida (si vedano gli articoli 2 e 3) e a favore dell’indottrinamento scolastico (si veda l’articolo 7). In particolare, vale la pena evidenziare come il ddl Zan resti senza dubbio liberticida.

Per negare tale aspetto, i promotori della legge assicurano che, recependo l’emendamento di Enrico Costa, sia stata introdotta una disposizione “salva-idee” che metterebbe al bando ogni scenario liberticida. Peccato che basti leggerlo per intero questo articolo, che è il 4, per capire subito come la libertà delle idee sia sì tutelata, ma «purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti». Trattasi di specchietto per le allodole, dunque, la cui natura ambigua è stata denunciata da fior di giuristi, da Filippo Vari, docente di diritto costituzionale all’Università Europea di Roma, a Pietro Dubolino, presidente di sezione a riposo della corte di Cassazione.

Dunque l’identità di genere è davvero solo un problema di questa legge. Tuttavia, considerazione numero due, è anche vero che il ddl Zan da qualche parte bisognerà pur iniziare a smontarlo, così determinando anzitutto il ritorno della norma alla Camera, con relativo allungamento dei tempi. Ecco che allora questo nuovo sondaggio sugli italiani non già divisi a metà, ma nettamente contrari all’identità sessuale ridotta a fumosa percezione «di sé», torna assai utile. Perché potrebbe essere, chi lo sa, la prima d’una serie di decisive picconate al disegno di legge più ideologico e insidioso degli ultimi anni.




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