Che l’Amore sia un mistero, è cosa risaputa.
“La bottega dell’Orefice”, testo di Karol Wojtyla, cerca di addentrarsi in questo miracolo-mistero che si perpetua giorno dopo giorno. E’ la vita di coppia a essere al centro del testo dell’allora Arcivescovo di Cracovia che diverrà Giovanni Paolo II.
La forza della piece è concentrata soprattutto nella antropologica e sociologica indagine sull’amore e, seppur sia stata scritta nel 1960, non perde oggi la sua attualità. Anzi, in un mondo frammentario e frammentato – come quello che stiamo vivendo – dove ormai ci si scontra sempre di più con la perdita della propria vera identità e di conseguenza con la capacità di relazionarsi con l’Altro, il testo della piece sembra davvero avere caratteri profetici.
Non dimenticandosi certo della dimensione trascendentale, è assai doveroso ricordare come l’autore concentri la sua attenzione drammaturgica nella dinamica della coppia in relazione all’Esistenza “concreta” dell’Uomo. Il testo mette in risalto proprio questo. E la crisi che viene messa in scena dall’autore polacco, è la stessa che stiamo vivendo. Una crisi che ha radici profonde. Radici che si incagliano nell’ “io”.
Wojtyla parla chiaro in merito al percorso di fidanzamento e poi del matrimonio: la ricerca deve partire dalla singola persona, dal conoscere se stessi (e quindi, nella visione di Uomo di Fede, nella relazione con Dio) per poter creare un patto saldo di comunione fra i due “attori” che agiscono nella coppia stessa: un “lui”, una “lei”.
Nell’edizione che si presenterà al pubblico, al Teatro della Cometa per il Vicariato di Roma, questo tono così “contemporaneo” sarà risaltato da un nuovo adattamento che cercherà di evidenziare proprio questo carattere sociologico-antropologico in relazione al presente, al mondo dei giovani, rimanendo fedele – nel contenuto e nella forma (se non il taglio dell’ultima parte, quella denominata “I figli”) – al testo originale.
Forte il carattere metateatrale che si è voluto inserire nella messa in scena, per poter creare un ponte (quel “ponte” tanto importante in ogni relazione, come quella fra i due protagonisti della storia, Andrea e Teresa) tra la scena e il pubblico, per meglio “calare” il the plot nella realtà odierna.
Sono due giovani attori che “vestiranno i panni” – o meglio i costumi – di Andrea e Teresa. Ma in quell’indossare si cela, in fondo, una possibilità che non è solo degli attori Chiara Graziano e Filippo Velardi, ma è la possibilità di ogni giovane coppia seduta in sala, o di chi è nell’attesa dell’Amore…o di chi, più semplicemente, si trova fuori dal teatro in attesa del bus che non passa.
Magari, proprio in questa occasione, se solo distogliesse il viso dall’ultima fake news, potrebbe trovare l’occasione…per “gettare un ponte” verso il vero amore.
Antonio Tarallo
per un’informazione veritiera sulle conseguenze fisiche e psichiche dell’ aborto