«L’Associazione, come iniziativa educativa liberamente promossa da credenti, vive nella comunione ecclesiale la scelta cristiana» e i suoi soci adulti «sono donne e uomini che attuano il loro servizio nei modi propri dello scautismo, realizzando così, come membri della Chiesa, la loro vocazione cristiana». Questo recitano dei passaggi – precisamente presi dall’articolo 1 e dall’articolo 9 – dello Statuto Agesci, acronimo di Associazione Guide e Scouts Cattolici Italiani. Si è qui voluto citare tali passaggi proprio per rimarcare una cosa che dovrebbe essere già nota, e cioè che il legame tra gli scout Agesci e la Chiesa cattolica non è marginale o episodico, ma fondante: carta canta, come si suol dire.
Per questo si faticano a comprendere novità come quelle che, a seguito dell’ingresso dell’associazione nell’ambito del Terzo Settore, vedono nella modulistica inviata ad Agesci e che la stessa rende disponibile sul suo portale – precisamente all’interno della scheda socio del censimento, dove compare una nuova voce indicata come “Potestà genitoriale” – la comparsa di tre voci, tra le quali, citiamo testualmente, «genitore 1 e genitore 2». Sembra uno scherzo, ma purtroppo non lo è: basta un veloce click al portale internet dell’associazione per verificarlo di persona. C’è da dire che in altri documenti, per esempio, quello del fac-simile della richiesta di partecipazione al percorso scout, l’associazione scoutistica evita di parlare esplicitamente di «genitore 1 e genitore 2», ripiegando su più neutre – e forse pavide - espressioni come «genitore», «uno dei due genitori», «potestà genitoriali» e così via.
Resta però il fatto che sembrano essere provate delle indicazioni relative all’impiego, da parte dell’associazione in questione, di espressioni alternative a padre e madre. Non più tardi di alcuni giorni fa, in tal senso, Pro Vita & Famiglia aveva potuto visionare, relativamente al Gruppo Agesci di Castelfranco Veneto 3, una comunicazione agli associati – «Oggetto: rettifica sede assemblea di gruppo e richiesta dati anagrafici» - che proponeva una informativa che poteva essere sottoscritta online – tramite modulo doodle - si cita testualmente, dal genitore 1 o dal genitore 2. Dunque non ci sembrano essere dubbi su questa svolta, decisamente triste e preoccupante.
Se infatti è risaputo che tale dicitura, genitore 1 e genitore 2 in luogo di padre e madre, costituisce una tendenza preoccupante e dilagante – non nata certo in Agesci, questo va detto - con la quale si vuole eclissare anche nominalmente la famiglia, appare però spiazzante che ad essa si accodino anche realtà che si dichiarano cattoliche. Tanto più che alcuni passaggi del magistero di Papa Francesco sono stati chiari, in questi anni di pontificato, come quelli della condanna dell’ideologia gender e delle sottolineature delle insidie contro la famiglia. Valgano, tra le tante che si potrebbero citare, le parole del Pontefice durante il discorso al Corpo Diplomatico, pronunciato nella Sala Clementina nel gennaio 2016. In quella occasione il Papa disse che oggi la famiglia è «minacciata dai crescenti tentativi da parte di alcuni per ridefinire la stessa istituzione del matrimonio mediante il relativismo, la cultura dell’effimero, una mancanza di apertura alla vita».
Ora, che cosa è la scelta di impiegare l’espressione genitore 1 e genitore 2 al posto di padre e di madre se non un tentativo – certamente non il solo, per carità, ma uno di questi senz’altro – di «ridefinire la stessa istituzione del matrimonio»? Varrebbe la pena pensarci, a maggior ragione in seno a quelle associazioni, lo si ripete, che sono esplicitamente e ufficialmente di appartenenza cattolica, arrivando a richiamarla apertis verbis nei passaggi più significativi dei loro statuti. C’è tuttavia da aggiungere come in realtà come Agesci già da tempo si agitino correnti di pensiero non esattamente in linea con la citata «comunione ecclesiale».
Basti qui ricordare quanto accaduto nel 2014, quando – a seguito della route nazionale – l’associazione produsse la cosiddetta “Carta del coraggio”, un documento che – tra le varie richieste alla Chiesa – proponeva anche, alla voce “Amore”, una definizione palesemente relativista della famiglia («qualunque nucleo di rapporti basati sull’amore e sul rispetto») e facendo una sorta di lista della spesa, con la richiesta alla Chiesa di «rivalutare i temi dell’omosessualità, convivenza e divorzio, aiutandoci a prendere una posizione chiara».
Da questo punto di vista si può ben capire come l’espressione «genitore 1 e genitore 2» sia addirittura quasi acqua fresca. Tuttavia, anche in questa novità terminologica si celano delle serie minacce. Spesso infatti non si considera come il linguaggio non sia solo uno strumento del comunicare, essendo anche – per molti versi soprattutto – un mezzo per pensare. Conseguentemente, nella misura in cui già oggi paternità e maternità sono già minacciati dalle nuove terminologie e opzioni in vitro conseguenti (con il padre non di rado ridotto a “donatore di sperma” e con la madre che vede il suo grembo sempre più spesso reso oggetto di commercio con l’utero in affitto), eclissare pure sotto il profilo lessicale, rimpiazzandoli, i termini «padre» e «madre» vuol dire piegare – in modo consapevole o meno, cambia poco – il proprio pensiero al pensiero dominante. Ce lo possiamo permettere? Essendoci di mezzo la principale cellula della società, la famiglia, e il suo destino, la risposta non può che essere negativa.