Un figlio porta con sé la nascita di una mamma e di un papà: fin dal momento del concepimento, da quelle due lineette che si colorano nel test di gravidanza, si hanno due nuovi genitori.
Eppure, se nel caso della donna questo cambiamento radicale è universalmente riconosciuto e tenuto in considerazione, molta meno attenzione si presta al padre: quando si annuncia l’arrivo di un figlio tutte le attenzioni si concentrano sulla donna, sulla sua salute, sulle sue emozioni, sul modo più adatto per accompagnarla nel cambiamento che coinvolge il suo corpo e la sua psiche. Ma nel fare questo, che ovviamente è importantissimo, spesso si dimentica che anche per l’uomo la gravidanza, il parto e poi la cura e l’educazione di un bambino sono passaggi molto delicati, che portano una modificazione profonda del proprio stile di vita, del senso del sé, del proprio ruolo sociale e familiare...
Proprio di questo aspetto tratta lo psichiatra Paolo Roccato in un articolo dal titolo Anche i papà hanno bisogno di sostegno, dove afferma che – all’arrivo di un figlio – sovente attorno al padre si crea un «deserto relazionale», ossia si viene a determinare una solitudine nell’affrontare i cambiamenti che può perdurare anche per diversi anni.
Prosegue Roccato: «Questo disinteresse di tutti per la sua paternità in divenire, unita al crollo dell’interesse, soprattutto affettivo e sessuale, della sua compagna verso di lui, lo fa sentire emarginato, cosa che costituisce una condizione di grande svantaggio, che però può trasformarsi in un punto di forza».
Infatti, questa situazione può favorire l’emergere dello specifico maschile all’interno della coppia e nell’educazione dei figli: osservando tutto da un punto di vista che è contemporaneamente interno ed esterno alla diade madre-figlio e che guarda verso la realtà, il padre ha infatti la possibilità di «dare suoi specifici contributi nella condivisione della genitorialità, attivando, sia verso la compagna sia verso il bambino, le funzioni paterne amorevoli di sostegno, che sono soprattutto quelle di incoraggiamento: verso la realtà; verso il recupero dalle frustrazioni; verso l’integrazione del proprio punto di vista con i punti di vista degli altri; verso la tenuta e la perseveranza nello svolgimento dei compiti che la vita esige».
Purtroppo, tuttavia, questo non sempre è facile anche perché oggi mancano “modelli” di paternità cui fare riferimento (si veda ad esempio qui). Ed è per questo che può sorgere una fase depressiva, che difficilmente viene riconosciuta, e quindi affrontata.
La depressione del padre può portare – prosegue Roccato – a tre scenari:
- l’uomo si rassegna alla sua emarginazione e cerca altri sfoghi (lavoro, hobby, relazioni extra-coniugali...);
- l’uomo diventa un vice-mammo per il figlio, per non sentirsi escluso. Il che non significa che il padre cambia i pannolini o coccola il figlio, cosa normalissima e auspicabile, bensì che “imita” in tutto e per tutto la donna. Tuttavia, in questo «il bambino (e la coppia e l’intera famiglia) verrà deprivato della possibilità di usufruire delle indispensabili funzioni paterne»;
- l’uomo si rialza e si considera per quello che è e per la sua funzione, prendendosi in carico la nuova famiglia “allargata” e riappropriandosi della sua funzione di guida e sostengo.
Come afferma un papà nel parlare della nascita del suo primo figlio: «Da allora non sono più lo stesso…». Ed è proprio così: la paternità è un’avventura intensa e senza ritorno, che è bene affrontare con un buon bagaglio di consapevolezza.
Giulia Tanel