La vulgata proclama a gran voce che per i bambini è meglio il divorzio, piuttosto che le liti continue dei genitori. Ne siamo davvero sicuri?
Per promuovere l’approvazione di leggi divorziste, la vulgata proclamava a gran voce che per i bambini sarebbe stato meglio il divorzio, piuttosto che le liti continue dei genitori. Insomma, la separazione aveva – secondo la propaganda – quasi una funzione ‘riparatrice’ diferite che i figli altrimenti non avrebbero potuto rimarginare.
Oggi, a distanza di qualche decennio dalla sua legalizzazione, ci si rende conto che il divorzio danneggia i bambini più gravemente di quanto non faccia la morte dei genitori. Questo è quanto conclude uno studio pubblicato dalla Virginia Commonwealth University e dall’Università di Tokyo (Takeshi Otowa et al., The Impact of Childhood Parental Loss on Risk for Mood, Anxiety and Substance-Use Disorders in a Population-Based Sample of Male Twins, Psychiatry Research 220 [2014]: 404-9). Lo studio, che è stato condotto su quasi 3.000 gemelli, ha evidenziato che i figli dei divorziati hanno manifestato disturbi e malattie mentali in numero decisamente maggiore rispetto ai bambini rimasti orfani di un genitore.
I ricercatori hanno studiato i collegamenti statistici tra la perdita dei genitori (sia per morte, sia per divorzio) e sette disturbi psichiatrici gravi che conducono a pericolo di vita: depressione, disturbo d’ansia, fobie, attacchi di panico, dipendenza da alcol, abuso di farmaci e tossicodipendenza.
In parallelo, oltre ad aver evidenziato che il divorzio produce di gran lunga maggiori casi di malattie mentali della morte di un genitore, gli studiosi hanno concluso che non c’è rilevante differenza tra i casi in cui il bambino resta col padre e quelli in cui resta con la madre. L’unico dato più frequente nei bambini abbandonati dalla madre, rispetto a quelli che sono stati lasciati dal padre, è l’abuso di sostanze alcoliche. Gli studiosi, infine, hanno rilevato forti evidenze sul fatto che il trauma per la morte dei genitori persiste per un tempo relativamente più breve rispetto alle conseguenze del divorzio.
Analoghe conclusioni sono state tratte dai ricercatori dell’Università di Toronto – pubblicate anch’esse sul Psychiatry Research – secondo i quali i figli di genitori divorziati, in età adulta, sono più facilmente propensi al suicidio di quelli che hanno avuto una famiglia stabile. Il dato trova ulteriore conferma anche in un libro pubblicato dal Telefono Azzurro La separazione e il divorzio .
Da un lato gli adulti sono ormai travolti dalle conseguenze di una mentalità divorzista, che li abbandona nella più profonda solitudine di fronte alleumane difficoltà che inevitabilmente nascono nel corsodi una convivenza matrimoniale. Dall’altra ci sono i figli: dicono gli esperti del Telefono Azzurro che «la separazione dei genitori è uno degli eventi più stressanti che un bambino possa vivere [...]. I figli di una coppia che ha fallito il proprio progetto matrimoniale tendono spesso a vivere la rottura del nucleo familiare come un’ingiustizia [...]. Il primo pensiero che attraversa la mente di un bimbo quando apprende che mamma e papà non vivranno più insieme è inevitabilmente di abbandono».
Ne nasce una «paura che può essere dirompente, che precipita nell’angoscia [...]; durante e dopo la separazione può succedere che i figli diventino ansiosi,irritabili, depressi; possono piangere senza motivo, avere dolori allo stomaco, soffrire di insonnia, andare male a scuola, comportarsi in modo aggressivo»: si tratta di un «dolore fortissimo, come un lutto».
Attacchi di panico, tristezza, depressione, e spesso un profondo ‘“senso di colpa”, unito a un «senso di frustrazione legato all’inutilità dei propri sforzi», aumentano con «l’arrivo di un nuovo compagno», ovviamente incapace di sostituire il vero genitore.
Il fatto che l’essere figli di divorziati sia una condizione molto diffusa non significa nulla. Non vale il detto“mal comune mezzo gaudio”, insomma: ci sono, infatti, più di un milione di «minorenni che vivono la condizione di “figli di genitori separati”... ma la condizione di “quasi normalità” a livello sociale non serve certo a ridurre il peso di quello strappo, delle lontananze tra padre e madre, spesso in situazioni di aperta conflittualità, nelle quali i figli diventano terreno di scontro principale tra i due ex coniugi. Di questo disagio, di questa sofferenza, di questa frequente incapacità dei bambini di adattarsi alla nuova condizione sono testimoni gli operatori del Telefono Azzurro che sempre più di frequente devono far fronte alle domande e alle richieste di figli di separati in difficoltà. Sentimenti di tristezza, rabbia, abbandono e confusione si manifestano nei più piccoli, mentre tali emozioni si riducono con la crescita, lasciando piuttosto spazio a manifestazioni di problematicità caratteriale nell’adolescenza».
Non dovrebbe servire la ricerca scientifica a confermare ciò che il buon senso insegna. Ogni essere umano ha bisogno di stabilità. E questa esigenza normalmente è soddisfatta dalla famiglia, il luogo dove si impara la convivenza sociale, la solidarietà, il rispetto e la ricchezza della diversità (varietà generazionale tra bambini e adulti, varietà sessuale e psicologica tra il padre-maschio e la madre-femmina, la varietà dei ruoli e delle funzioni).
Se la famiglia è forte, equilibrata, capace di trasmettere serenità e sicurezza al bambino, egli potrà sviluppare appieno gli aspetti positivi della sua personalità. Altrimenti egli si trova, come tanti giovani che hanno patito il divorzio dei genitori, a vivere una condizione di precarietà e di fragilità fortissime, con una vita dilaniata, in casa, dall’incertezza e dalla conflittualità, che dopo il divorzio non scompare per niente, ma si trasferisce sul figlio stesso, che diventa spesso il campo di battaglia dei due genitori.
Francesco Agnoli
Fonte:
Notizie Pro Vita, n. 43, Luglio-Agosto 2016, pp. 28-29