08/06/2016

Bioetica – La giusta attenzione alla vulnerabilità del paziente

Il tema del sostegno e della protezione da assicurare a  individui e gruppi vulnerabili, sta acquisendo sempre maggiore importanza nel campo della bioetica e della medicina.

Del resto, in qualsiasi consesso civile, e – nella specie – ove si fondi una Costituzione come la nostra sui “doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale” (art.2 Cost.), la tutela dei deboli e dei vulnerabili è (dovrebbe essere) un valore fondamentale.

Si pensi alla “tutela del contraente debole”, per esempio del consumatore, tanto garantita anche dalle norme europee, si cui si basa buona parete del diritto privato italiano.

A parlare del fattore “Vulnerabilità umana nei contesti medici”, è stato Stephen Matthews, ricercatore australiano del Plunkett Centre for Ethics e membro del centro di Filosofia morale ed Etica applicata all’Australian Catholic University, in un’intervista per il sito BioEdge .

La vulnerabilità è un fattore intrinseco e naturale che appartiene non solo agli individui, ma anche a famiglie o a gruppi di individui, comunità o addirittura popolazioni. Assicurare protezione a individui e gruppi vulnerabili, come ad esempio i bambini, prima e dopo la nascita, le donne incinta, i portatori di handicap, gli anziani e i tossicodipendenti, è un argomento che sta prendendo sempre più piede e rilevanza nel dibattito sulla prassi clinica e medica contemporanea. Da un lato tutti i pazienti sono per se stessi vulnerabili, dall’altra ci sono certamente delle categorie particolarmente esposte che sono completamente nelle mani del medico e del sistema sanitario e che obiettivamente costano alla società. Il costo va sostenuto in adempimento di quel dovere di solidarietà di cui sopra. Altrimenti la società avrà cura solo delle persone sane e forti: uno scenario che purtroppo oggi è meno fantascientifico di quanto possa sembrare.

Il rapporto di fiducia tra medico e paziente, soprattutto nel caso di pazienti con ridotta autonomia rende coloro che si affidano ancor più vulnerabili. Delle linee guida fondate sulle buone prassi sono necessarie in tali contesti, soprattutto perché oggi si va sempre più perdendo di vista un problema cruciale: quello della valorizzazione della vulnerabilità in sé.

E’ ovvio che il medico debba e voglia curare. Ma la mentalità efficientista oggi dominante tende ad eliminare la situazione di vulnerabilità, a costo di eliminare anche il paziente. Si guardi ad esempio alla mentalità  eutanasica dilagante o alla mentalità eugenetica che promuove l’aborto terapeutico e la manipolazione degli embrioni.

Bisogna recuperare lo spirito di solidarietà cui accennavamo sopra. Va riscoperto il valore intrinseco del dolore: è giusto volerlo lenire, ma a volte non si può eliminare. Si pensi ad un lutto. E si pensi come la giusta elaborazione del dolore possa divenire occasione di crescita e di rafforzamento della personalità di chi soffre per la perdita. Allo stesso modo, anche nella sofferenza che scaturisce da una patologia, soprattutto se cronica – che certamente va curata e lenita, per quanto possibile –  c’è un valore da riscoprire.

Perché la vulnerabilità e il dolore sono tratti essenziali dell’essere umano. Pretendere di rimuoverli completamente – a costo di eliminare la persona – vuol dire perdere il contatto con la realtà, con la vera umanità.

Redazione


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