Qualche giorno fa a Sant’Antonio Abate ha avuto luogo un matrimonio fra due cani, i barboncini Simba e Yasi. Un articolo de Il Giornale racconta i dettagli della cerimonia avvenuta nel Parco Mille Luci.
Siamo forse increduli? Perchè mai ora dovremmo cadere dalle nuvole di fronte ad una notizia simile? Non abbiamo visto le derive che sta prendendo il concetto stesso di “matrimonio”? Ebbene, se riteniamo che il matrimonio costituisca il fondamento unico, primordiale ed insostituibile della società dovremmo esserci già resi conto da anni che esso è fortemente minacciato. Il suo senso è ormai quasi del tutto deformato dagli interessi delle lobby gay (non appoggiate dalla buona scienza) che hanno dimenticato che il matrimonio è matris munus, il compito di essere madre (e, da che mondo è mondo, natura vuole che madre lo si diventi in un solo modo).
Detto ciò, se ogni tipo di rapporto d’amore fra due persone avrebbe il diritto di essere riconosciuto come “matrimonio”, perchè negare questa possibilità ai cani – o ai gatti? Così, come racconta il sopracitato articolo, si è pensato di far unire in matrimonio due cani perché, specifica l’ideatrice di questo teatrino, «Con gli animali si può fare tutto e io vorrei lanciare un messaggio contro l’abbandono e a favore della sterilizzazione. Amo i miei barboncini come amo i miei figli».
Il rapporto, tanto affettuoso quanto (doveroso a dirsi) istintivo e irrazionale, tra Simba e Yasi è stato così tranquillamente paragonato all’impegno responsabile di un uomo e una donna. Un «Bau, bau!» è bastato ad usare due cani per svilire e scimmiottare la promessa di reciproca fedeltà degli sposi.
La cerimonia, infatti, è stata provvista di tutti i classici connotati dei matrimoni: la marcia nuziale, lo scambio delle fedi (in questo caso non anelli ma collari), il lancio del riso e persino il canto dell’Ave Maria. I cani inoltre indossavano i tipici accessori sponsali: lei un velo e lui un papillon.
Inutile dire che, se l’intento era sensibilizzare contro l’abbandono dei cani, si poteva utilizzare un qualsiasi altro modo e che questo tipo di rappresentazione è pienamente in linea con il processo di svalutazione della famiglia naturale. Con tutto il rispetto degli animali, non li si può equiparare agli uomini fino a conferir loro gli stessi diritti.
In conclusione, ritengo necessarie due osservazioni. Anzitutto è doveroso dire che il matrimonio ha delle connotazioni ben precise: non è qualsiasi un riconoscimento cui tutti hanno diritto ma la libera e consapevole unione tra uomo e donna (atta anche a procreare), pertanto non tutto ciò che è amore può essere definito matrimonio!
Infine vorrei mettermi nei panni dei due ignari cani in questione e chiedermi: se l’istinto animale ha portato Simba e Yasi ad avere, in un determinato momento, reciproche manifestazioni di affetto... perchè, in base a quelle, che potrebbero anche mutare, “condannarli” ad una vita insieme che potrebbero non volere, nè avrebbero mai potuto chiedere?
Luca Scalise
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