Perché la cannabis va mantenuta illegale, mentre l’alcol e il tabacco possono essere commercializzati? Fa male l’una, fanno male gli altri... dove sta la differenza?
Questo modo di ragionare, proprio dei sostenitori della cannabis legale e libera, rischia di trovare i più impreparati a fornire una risposta che, oltre che sul buon senso, abbia delle radici scientifiche e documentabili.
Il biologo Enzo Pennetta, sul suo blog, illustra bene le differenze che intercorrono tra le tre sostanze in questione: «Quello che caratterizza l’effetto della cannabis è l’azione sul sistema nervoso ed è su questo punto che il divieto si basa e quindi va verificata la presunta analogia rispetto a tabacco e alcol. Il principio attivo del tabacco è la nicotina che agisce sui recettori per l’acetilcolina (Ach), dove ne imita l’azione del neurotrasmettitore, che sono appunto stati chiamati nicotinici. Questa sostanza, come del resto è esperienza diffusa, non provoca alterazioni negative delle capacità cognitive o di altri aspetti psicologici, che sono circoscritti ai sintomi da astinenza, né tanto meno si registrano effetti a medio lungo termine. Negli alcolici la sostanza attiva è l’etanolo che a bassi dosaggi ha effetti benefici e manifesta quelli nocivi solamente con un uso eccessivo».
Insomma, la cannabis ha un’incidenza molto diversa perché agisce sul sistema nervoso e concorre a provocare danni che, soprattutto (ma non solo) se utilizzata in giovane età e in maniera continuativa, possono essere veramente ingenti.
Inoltre, per chi sostiene che la cannabis andrebbe legalizzata a fini terapeutici, è bene sottolineare che, in tal senso, non vi è opposizione. Il punto è tuttavia un altro: «il principio attivo responsabile del maggiore effetto ai fini terapeutici riguardo a patologie infiammatorie, immunitarie, psichiatriche è il cannabidiolo (CBD), mentre la sostanza di interesse tossicologico è principalmente il tetraidrocannabinolo (THC). Nelle piante coltivate a scopo “ricreazionale” negli anni ’90 il contenuto medio di sostanza attiva (THC) era tra il 3 e il 4,5%; nel 2008, questo valore era salito all’8%, nell’ultimo decennio sono state infine prodotte diverse varietà di cannabis con un contenuto di THC superiore al 20%, in alcuni casi fino al 30%».
Chiaro, no? La cannabis di oggi, non è quella di ieri (che comunque faceva male): da anni si sta lavorando per elaborare una sostanza in grado di dare sensazioni sempre più “forti”, dato assolutamente indipendente e da non porre in relazione all’utilizzo della cannabis in presenza di specifiche patologie.
Redazione
Fonte: Critica scientifica