Legalizzare la cannabis arrecherebbe soltanto un danno sia per la salute delle singole persone che la consumano, sia per la società nel suo complesso. Questo il parere del professor Angelo Vescovi, docente di biologia cellulare all’Università di Milano – Bicocca e direttore scientifico dell’IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo, intervistato da Pro Vita & Famiglia riguardo alla discussione in Parlamento della proposta di legge per la parziale legalizzazione della cannabis a domicilio.
Professor Vescovi, qual è la sua valutazione generale riguardo al disegno di legge Magi-Licatini sulla liberalizzazione della cannabis coltivata in casa?
«Qualunque forma di liberalizzazione e di mancato di controllo di sostanze psicoattive è sostanzialmente un suicidio sociale. La letteratura scientifica internazionale lo conferma: nei paesi dove è stata liberalizzata, il consumo della cannabis è aumentato, quindi, è aumentata la dipendenza da questa sostanza. Dipendenza vuol dire usare una sostanza non per “sentirsi bene” ma per poter funzionare come essere umano: una condizione invalidante. Alla luce dei dati che abbiamo in mano, l’effetto sociale di queste sostanze è devastante: le persone dipendenti da sostanze psicotrope sono quelle più soggette a incidenti stradali e ad azioni comunque dannose per la persona. Le droghe alterano la percezione del tempo, dello spazio e della finalizzazione delle proprie azioni. Anche per questo, pur non conoscendo nel dettaglio i contenuti, penso tutto il male possibile di questa proposta di legge. È una trappola mortale, in particolare, per i giovani. Gli studi dimostrano in modo incontrovertibile che, per chi inizia l’uso della cannabis in età giovanile, si spalancano prima o poi le porte all’uso di droghe pesanti. Negli Stati Uniti, un quarto delle donne in gravidanza fa uso di marijuana, con effetti devastanti sul feto. A chi giova tutto questo? Ai giovani non stiamo dando più né un lavoro, né un futuro, in compenso li riempiamo di droghe. Trovo sia vergognoso».
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Che conseguenze potrebbe avere, a suo avviso, la coltivazione di piante di cannabis a domicilio?
«Chi vogliamo prendere in giro? Davvero pensiamo che, se qualcuno produce la cannabis a casa sua, ci sia la possibilità che le forze dell’ordine riescano ad effettuare un controllo capillare casa per casa, per verificare quante piante ognuno tenga nella propria abitazione? Questa è una liberalizzazione totale fatta passare per una liberalizzazione controllata. Tra l’altro, se la pianta di cannabis non viene fertilizzata – cosa che ovviamente si verifica, coltivando solo piante femmine – il contenuto di THC aumenta esponenzialmente. Oltre il 10% di THC, la sostanza diventa estremamente pericolosa. Le piante che arrivano qui in Italia hanno il 60% di THC: una percentuale con cui i danni cerebrali sono garantiti. E noi arriviamo a dire che sarà lecito coltivare tre piante ciascuno? È l’ennesimo pasticcio all’italiana: si fa credere di non aver liberalizzato, per accontentare un po’ tutti. Fatta la legge trovato l’inganno».
Ha accennato al THC: si è molto discusso del fatto che la cannabis legale avrebbe, in linea di massima, un principio attivo più basso, pertanto, i consumatori potrebbero mettersi alla ricerca di sostanze illegali dal THC più alto…
«Se il THC non è bilanciato dal CBD, che è la sostanza non psicotropa, gli effetti sono molto pesanti. Soltanto se si inizia a consumarne in età adulta, gli effetti sono reversibili. Al contrario, se il consumo inizia durante l’adolescenza, le conseguenze sono molto gravi. Se un soggetto maschio fa uso costante di cannabis e poi concepisce un figlio, gli trasmetterà la sua dipendenza. Discutere su quante piante si possano tenere in casa è lezioso, il vero nocciolo della questione è che si tratta di una sostanza psicotropa, per cui l’uso non può essere liberalizzato. È troppo pericoloso sia per le singole persone, sia per la società nel suo complesso. Io non vorrei morire per strada perché il sabato sera, un pazzo che si è fatto dieci canne, mi viene addosso contromano… Quando si assumono queste sostanze, il rischio è troppo grosso, sia ha la percezione di un rallentamento del tempo, per cui mentre vai sbattere contro un’altra macchina, hai la sensazione di stare distante due chilometri e di avere tutto il tempo di evitarla, quando in realtà l’impatto è inevitabile. Tutto quello che dico è letteratura scientifica, non è l’affermazione di un bigotto».
Ha ancora senso continuare a distinguere tra droghe “leggere” e droghe “pesanti”?
«Se fa caldo, come in questi giorni, bere una bevanda fredda può dare sollievo. Provate, però, a berne dieci litri e vedete cosa succede. È una questione di dosaggi, nel momento in cui continuo ad assumere ininterrottamente qualcosa che mi dà piacere, diventa pericoloso. A maggior ragione, sarà pericoloso con una sostanza psicoattiva. Continua a circolare questa sottile menzogna sociale politicamente corretta e totalmente svincolata da parametri etici, sociali, civili, medici e biologici: in realtà non esiste alcuna droga leggera, è una questione di dosaggio. I circuiti che stimolano queste sostanze sono i circuiti del piacere: nel momento in cui un piacere è soddisfatto, si cercherà continuamente di ripeterlo. Si passa così alla tolleranza, per cui il consumatore, per sentirsi bene, deve aumentare i dosaggi, per arrivare alla soglia della dipendenza vera e propria. Tanto è vero che, negli Stati Uniti, il 10% di chi consuma cannabis è costretto ad andare in centri per la disintossicazione. Se questi sono i risultati dei Paesi che hanno liberalizzato, in Italia, qualunque legge andremo a votare, staremo truffando una generazione».
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