«La decisione sul mio processo è una vittoria, perchè la Corte non ha solo rimandato, ha anche riconosciuto l’inadeguatezza della legge. Ciò significa che se il Parlamento non farà, o farà male, sarà la Corte a intervenire tra 11 mesi». L’esultanza attraverso un tweet di Marco Cappato ha subito fatto comprendere le conseguenze della decisione dei giudici della Corte Costituzionale.
Inutile nascondersi dietro un dito, il rinvio dell’esame a settembre 2019, che rimanda la palla al Parlamento da cui già arrivano dichiarazioni a favore dell’eutanasia e del suicidio assistito, ha un sapore di invito a legiferare in merito, e l’ex radicale ha colto bene la possibilità che può giocarsi. Per questo le realtà pro vita culturali e associative sono già sul “piede di guerra” e fanno bene. Tutte unite contro “il diritto alla morte” che, come ha detto Toni Brandi, rischia di diventare un «dovere alla morte».
Filippo Savarese, direttore delle campagne della fondazione pro life italiana di CitizenGO, ha lanciato un appello a «fomentare in Italia un nuovo clima politico, culturale, mediatico […]. Tutte le componenti sociali di qualsiasi tipo che hanno a cuore la conservazione della Vita devono unirsi insieme e avviare una stagione di iniziative di ogni sorta per sensibilizzare i cittadini sul vero volto del rischio eutanasico che stiamo correndo. È veramente il caso di dire che la questione è di vita o di morte, e che abbiamo i mesi contati».
Il Movimento per la Vita ha parlato di una «decisione dal sapore pilatesco», che introduce «il preteso “diritto alla morte”. Alla fine la cultura radicale mortifera sembra sempre riuscire ad aprirsi un varco». Per la presidente del Movimento per la Vita italiano, Marina Casini Bandini, «non ci sono vuoti da colmare e non è vero che manca un bilanciamento. Nella pur discutibile legge sulle Dat», ha concluso, «il bilanciamento è già trovato. Tra l’altro nel programma di governo non sono a tema suicidio assistito e eutanasia».
Redazione