Dalla tragica e dolorosa vicenda di Charlie abbiano capito che il Regno Unito, una nazione occidentale fondata sullo stato di diritto, con una storia e una tradizione tale da essere considerata la culla della democrazia, è divenuta il luogo dove a una madre e un padre può essere impedito di curare un figlio che poi può essere legalmente ucciso sotto i loro occhi e contro la loro volontà.
William Estrada, avvocato americano e direttore delle relazioni federali della Home School Legal Defense Association, si chiede su The Daily Signal come possa essere avvenuta questa degenerazione.
Egli ritiene che il governo britannico sia responsabile d’essersi asservito alle Nazioni Unite, e alla mentalità mortifera dominante in quel contesto, anni fa.
Nel 1989, con la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo, l’ONU e i globalisti hanno affermato l’intenzione sacrosanta di voler proteggere i bambini.
Ma la realtà è che nelle pieghe di questa convenzione la potestà genitoriale viene sottomessa e subordinata al potere dello Stato.
La cosa si evince nell‘apparentemente innocuo articolo 3 della Convenzione sui diritti dell’infanzia:
«In tutte le azioni riguardanti i bambini ... l’interesse migliore del bambino deve essere una considerazione primaria. Gli Stati parti si impegnano a garantire al bambino la protezione e la cura necessari per il suo benessere, tenendo conto dei diritti e dei doveri dei genitori ...»
E’ lo Stato che deve curare l’interesse dei bambini. Deve solo “tener conto” dei diritti e dei doveri dei genitori. I diritti dei genitori sono derubricati a desideri (mentre di converso certi desideri – come il desiderio di un figlio – sono promossi a diritti...); i desideri dei genitori di Charlie sono stati “presi in considerazione”, ma non esauditi. Neanche quando si sono arresi e hanno chiesto solo di poter portare il bambino a morire a casa loro.
La decisione dei tribunali inglesi, quindi, in relazione al caso di Charlie si è fondata sul fatto che – in forza della suddetta Convenzione – i bambini non appartengono ai loro genitori. Essi non hanno più diritti nei confronti dei loro figli, hanno solo doveri, tra cui il principale dovere che è quello di agire nel miglior interesse dei figli. Ma quale sia questo “miglior interesse” è deciso dallo Stato.
Il Regno Unito e altri 195 paesi hanno ratificato la Convenzione sui diritti del fanciullo . Gli Stati Uniti inizialmente avevano scelto saggiamente di non firmare. Poi durante l’amministrazione di Clinton (guarda caso) hanno aderito anch’essi, ma la firma non è mai stata ratificata dal Senato.
In USA, spiega Estrada, i giudici hanno spesso convenuto che il bambino non è creatura dello Stato: è sentito fortemente il principio di sussidiarietà, per cui l’ente maggiore rispetta l’autonomia dei corpi intermedi, in primis la famiglia.
La Convenzione suddetta forse spiega anche quello che accade in Norvegia, dove lo Stato toglie i gfigli ai genitori per futili motivi e con una facilità sconcertante.
L’Italia, manco a dirlo, con Andreotti a capo del Governo e Cossiga come Presidente della Repubblica, ha firmato nel 1990 la Convenzione e nel ’91 l’ha ratificata. Come ha ratificato nel 2012 la Convenzione sui diritti delle persone con disabilità che presenta lo stesso vulnus all’autonomia e all’indipendenza degli stati membri e dei corpi intermedi (qui si calpestano i diritti dei genitori delle persone disabili).
La nostra Costituzione prevede il principio di sussidiarietà nell’art. 2, che riconosce i diritti inviolabili delle formazioni sociali, dei corpi intermedi, innanzitutto la famiglia. E l’art. 30 specifica:
«E` dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio.
Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti.»
Pare quindi che lo Stato debba cedere il passo alla famiglia, proprio in forza del principio di sussidiarietà summenzionato, nonostante le convenzioni ONU di cui sopra.
Ma con i Governi e i Magistrati che abbiamo, possiamo stare tranquilli?
Francesca Romana Poleggi
Nell’immagine in evidenza: il Leviatano, mostro biblico che vive nel mare, è stato usato dal filosofo del ‘600 Thomas Hobbes come simbolo dello Stato, con potere assoluto sui sudditi.
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